Emanuela Signorini e “Il sangue nero di Mussolinia”, presentato a Fagnano Olona

La scrittrice e giornalista di Samarate, Emanuela Signorini, ha presentato a Fagnano Olona il suo romanzo dal titolo “Il sangue nero di Mussolinia” all’interno della rassegna “Il Mese della Cultura” promosso dalla Pro Loco fagnanese.

Intervistata dal giornalista Fausto Bossi, l’autrice ha raccontato l’interesse da tempo nutrito per la terra sarda, e la possibilità avuta di approfondire la consocenza di una vicenda storica come quella del Villaggio Mussolinia, ora noto con il nome di Arborea di Sardegna.

La storia di questa cittadina è sconosciuta ai più. Nel suo racconto la Signorini ripercorre le vicende realmente accadute, mettendoci un pizzico di fantasia e di suspance, rendendolo una lettura affascinante e davvero molto scorrevole.

La vicenda raccontata è ambientata nella fine dell’estate del 1931 in una landa bonificata della Sardegna, dove sorge la città nuova abitata da famiglie poverissime e numerose, per lo più venete, trapiantate per lavorare la terra dalla Società Bonifiche Sarde, con il benestare del regime fascista. Un lunedì mattina, tra polvere e fichi d’india, vengono trovati, morti ammazzati, due ragazzini: lei è veneta, lui è un pastore sardo di Terralba. Immediatamente il giovane parroco salesiano di Mussolinia, don Massimo, veneziano d’origine, è coinvolto nelle indagini.
Sulla scena si fanno avanti innumerevoli personaggi…

Grazie alle domande di Bossi e dei presenti in sala, Signorini ha spiegato le relazioni tra i personaggi della vicenda. Tra i tanti emerge la figura di donna Erminia, la moglie dell’uomo più potente della città: il presidente della Società Bonifiche Sarde, Manlio Dolce. Erminia è una donna ricca, viziata, spudorata. Vede nel giovane sacerdote un balocco erotico, come i tanti amanti che ha avuto: un uomo da possedere ad ogni costo, per il gusto di avere per sé qualcosa di vietato. Invece, seguendo il parroco nelle indagini, con lo scopo non tanto nascosto di circuirlo, a poco a poco qualcosa le sfugge e senza rendersene conto, si innamora di lui. Massimo contrasta questa passione come può: prima rifiutando di vederla o incontrarla, poi trincerandosi dietro la sacralità della tonaca, infine giustificando l’attrazione che sente per lei, con ragioni goffamente “filosofiche”. Il manage tra sacerdote e donna Erminia si intreccia saldamente alle indagini “non autorizzate” condotte dal giovane salesiano.

La narrazione procede così tra colpi di scena, viene animata da una quantità di personaggi minori ed è costantemente gravata dalla presenza oppressiva di una città, Mussolinia, a cui, per contratto, si deve ubbidienza, sudore della fronte e soprattutto una moralità ineccepibile.

L’organizzazione e la mappa della cittadella di Mussolinia sono esattamente quelle descritta nel romanzo: una colonia di lavoro, con gente strappata alla fame più assoluta, obbligata per contratto a un lavoro rigidissimo, con regole che dettano legge non solo per tempi e produzione agricola, ma persino per l’organizzazione delle famiglie e la moralità delle persone. Il tutto, in cambio del miraggio di un podere a mezzadria, sotto il terrore costante di “essere rimandati indietro”, nelle lande affamate del Nord Est italiano di quegli anni.

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