Qualsiasi sport pratichi nostro figlio dobbiamo essere felici

il mondo del calcio giovanile sempre più spesso viene definito un inferno per varie motivazioni. Si susseguono all’ordine del giorno, notizie di cronaca di aggressioni o violenza di genitori verso arbitri, calciatori avversari, allenatori avversari. Sempre troppo poco, invece, si parla di quanto business e quanta speculazione gira attorno al calcio giovanile. Gente che senza scrupoli di coscienza approfitta del sogno di un bambino e di un genitore per guadagnare qualche spiccio promettendo successo e un posto da titolare nella formazione.

Un giro di vite che porta non raramente all’abbandono da parte dei ragazzi dello sport. Un epilogo comunissimo nel momento in cui i sogni diventano ormai un peso o una pressione da sopportare sia per mancanza di meritocrazia, sia perchè sfocia nella voglia di soddisfare i desideri e le ambizioni dei genitori. Un circolo vizioso dal quale difficilmente si può uscire, ma non impossibile.

“Noi genitori dobbiamo imparare a stare al nostro posto -esordisce il procuratore Alessio Sundas nella veste di genitore di una sportiva- Lo sport è una parte fondamentale della vita di un figlio e noi genitori dobbiamo smetterla di arrivare a degenerare. Qualsiasi sport pratichi nostro figlio dobbiamo imparare ad essere felici quando lui è felice, tristi quando lui è triste. Essere empatici con nostro figlio perchè giova a lui. Lo sport deve aiutare la socializzazione, la cultura dello sport, impara a vincere e a perdere, perchè nella vita ci sono i successi e le sconfitte, forma la personalità ma è anche una valvola di sfogo dallo stress della vita quotidiana. Noi genitori dobbiamo smetterla di incitare in maniera più o meno educata nostro figlio, perchè il nostro tifo sfrenato può diventare una pressione per lui – continua e spiega- Se noi assistiamo alle competizioni osservando, incitando dentro di noi, ma mostrandoci impassibili nostro figlio scenderà in campo per suo puro desiderio e non per assecondare noi genitori. Si divertirà e si formerà imparando con le sue forze il senso di sacrificio e l’impegno. Imparerà che si ottiene quello che si desidera solo se si lotta e ci si impegna per ottenerlo”.

Un comportamento questo che il procuratore sportivo tiene a suggerire per cercare di cambiare un sistema, quello sportivo, che vive più di business che di passione e che molto spesso non premia la meritocrazia ma mette al primo posto il guadagno a danno del livello tecnico: “Credo che il fatto che ci siano tanti pronti a sfruttare i giovani atleti per guadagnare qualcosa sia qualcosa a cui si può porre rimedio solo con il comportamento che ho sopra descritto. Noi genitori dobbiamo imparare a mettere da parte le nostre ambizioni, se lo meriterà nostro figlio diventerà un campione, altrimenti no. Pagare affinchè un bambino sia in formazione è qualcosa di abominevole perchè dà la credenza che tutto si ottiene con i soldi e senza merito. Se volessimo concentrarsi sul calcio, sport nazionale in Italia, fa pensare che il livello sia basso, che i talenti sono solo all’estero. Invece non è così, abbiamo tanti giovani talenti fermati per strada da chi magari avrebbe voluto speculare su di lui, o da chi per un motivo o per un altro gli ha tappato le ali, o ancora perchè in un mondo in cui c’è tanto da cambiare è più facile abbandonare piuttosto che lasciarsi trascinare in qualcosa che tutti accettano come se fosse giusto”.

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