Il Femminismo esige gli stati uniti d’Europa

Per spiegare questa mia tesi vorrei partire da due nomi e un luogo: Harry; Keira Christina Knightley; Catalogna. In Catalogna si voterà a maggio, o a giugno al più: sono state convocate elezioni anticipate dal governo che intende secedere dai Borboni di Madrid. Harry Windsor, testa potenzialmente coronata, si è brutalmente separato da sua nonna Elisabetta II. Invece Keira, l’attrice dai “lineamenti delicati” come si sente spesso dire a sproposito, è per metà scozzese e per l’altra metà, è stata nominata (da non molto tempo) Dama del Regno, titoli che hanno un valore che noi, nella Repubblica Italiana, non immaginiamo, anche perché trascendono ancora, attraverso il cosiddetto Commonwealth, gli Oceani, i Mari e i Continenti. 

Pochi sanno che Keira Knightley è la prima femminista di ciò che ancora resta del Regno Unito, mentre la sua Scozia è pronta a secedere, come la Catalogna (si ma come? E chi garantirà che non avvenga in armi?), e dall’altra parte del Regno di cui è cittadina l’Irlanda è prossima a riunificarsi (e chi mai potrà impedire, coronato o meno, che ciò avvenga pacificamente quando nessuno nell’isola è animato da sentimenti bellicisti?).

Non servono però le Corone (che si rivelano nell’Europa figlia di Leonardo, Voltaire e Robespierre quanto  meno “zavorranti”) per il caso della Polonia, che odia la Russia (ma da quanti secoli sentiamo questa storia?) e neanche per il Veneto, da noi, l’unica cosa seria che ha dietro di sé il pensiero di Matteo Salvini e  per il quale merita la massima, più che massima, considerazione, non meno (mai, meno) di quanto quasi un secolo fa la si diede a ben altri (e, percarità, industrialmente più avvantaggiati) personaggi disturbati.

Cosa unisce tutti questi casi di etno-nazionalismo? Il razzismo. Può questo razzismo far morire l’Unione Europea? C’è andato vicino, ma non è successo. Quanto sentiamo parlare di femminismo come antidoto al razzismo, sino alla nausea? Può l’Unione Europea non riformarsi? Cos’è una vera e propria Riforma in senso rivoluzionario? Cos’è un riformista? Domande che non hanno risposta, dagli anni Duemila, e che solo le donne (vaginomunite, cosa che io non sono e dunque anche volendo…) possono dare.

Io, semmai, da storico maschio, vorrei rimandare a una persona che univa tutto questo e a Bruxelles e a Strasburgo verosimilmente ignorano sino alla punta dei capelli: Hoda Sharawi. Sharawi (e non si provi a dire “la” Sharawi visto che non si dice “lo” Harry) era 1) aristocratica; 2) democratica; 3) femminista; 4) patriottica; 5) panaraba (che cambia poco rispetto all’essere “europeista”, che si potrebbe anche solo dire paneuropeo in senso geografico, concetto in cambiamento la Geografia, chiaramente). La si studi, suggerisco.

Lorenzo Proia

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