La lenzuolata della domenica di Nino Caianiello.

Ieri pomeriggio ho partecipato alla Assemblea annuale dei Soci della Associazione Culturale Terra Insubre, assistendo tra i vari momenti all’intervento dell’Assessore regionale lombardo Stefano Bruno #Galli, che ha presentato il libro “Vocazione è destino dei Lombardi “ di Gianfranco #Miglio. Un libro a cui ho rivolto la mia lettura, edito da Regione Lombardia nel centenario (2018) della nascita a Como di uno dei più autorevoli scienziati della politica del nostro mondo contemporaneo: mai come oggi il tema delle Autonomie non poteva essere eluso e da qui ho ripreso l’idea di soffermarmi sullo stato dell’arte parlando delle Autonomie.
In questi giorni, a Roma e nel governo, si sta giocando una partita decisiva, quella dell’autonomia differenziata della Lombardia e del Veneto. Si tratta di una battaglia fondativa della Lega Nord, che giunge a compimento – potenza del destino – proprio nei giorni in cui il padre fondatore del Carroccio, Umberto #Bossi, si trova in rianimazione all’ospedale di Circolo di Varese a seguito di un malore e di una caduta in casa. Al grande Umberto Bossi facciamo i migliori auguri di pronta guarigione, sperando di rivederlo presto con il suo sigaro toscano intento a dare pugni sui palmi delle mani degli amici che incontra, nel contempo ci chiediamo se e come la maggioranza gialloverde riuscirà a superare l’ennesima impasse che ne sta decretando un immobilismo che per il nostro Paese, come dimostrano i dati sulla crescita del #PIL sempre più in frenata, potrebbe rivelarsi esiziale. Ma cos’è questa autonomia differenziata di cui tutti parlano, a volte a sproposito? Provo a spiegarvelo, e se a dirvi che è cosa buona e giusta è uno che arriva dal Rione Sanità di Napoli, che non è proprio la Valbrembana, potete anche fidarvi. Innanzitutto è un istituto previsto dalla Costituzione italiana, quella che fu modificata a colpi di maggioranza ai tempi del governo di centrosinistra di Giuliano #Amato, non proprio un indipendentista padano con le corna da vichingo in testa. In realtà le bozze che circolano prevedono una cessione di competenze da parte dello Stato su un numero di funzioni che vanno dalle 16 chieste dall’Emilia Romagna alle 20 chieste dalla Lombardia e alle 23 dal Veneto. Competenze oggi statali, che verrebbero attribuite alle Regioni con le relative risorse che oggi lo Stato spende. Senza dunque intaccare quelle che vengono destinate alle altre Regioni.
Per fare un esempio, gli insegnanti della scuola pubblica che oggi sottostanno al Ministero, domani riceveranno lo stipendio da Milano o da Venezia: è chiaro che il trasferimento delle risorse è inevitabile. Il vantaggio per Lombardia e Veneto risiede nella scommessa di poter utilizzare meglio quei soldi, ottenendo dei risparmi che potranno essere trasformati in maggiori servizi e migliore qualità degli stessi, a beneficio dei cittadini. Come si può facilmente intuire, si tratta di un’autonomia che non solo è lontana anni luce da ogni deriva catalana, ma è pure assai annacquata rispetto alle premesse dei #referendum di Lombardia e Veneto: sul fronte del #residuofiscale, non si vede nemmeno con il binocolo l’idea di trattenere il 75% delle risorse versate dai contribuenti lombardi, come previsto dall’allora governatore Roberto #Maroni, né tantomeno i nove decimi del gettito tributario dei veneti, come ipotizzato dal presidente Luca Zaia. Eppure, la macchina delle fake news, la stessa che (allora orchestrata dalla sinistra) bloccò inopinatamente il referendum di Bossi e #Berlusconi sulla riforma costituzionale del 2006 che ci avrebbe consegnato un Paese un po’ più federale e due Camere con molti meno scranni (chissà, forse l’ondata anti-casta cavalcata dai grillini si sarebbe infranta sugli scogli prima ancora di poter travolgere la classe politica), si sta scatenando, come mostrano le polemiche di questi giorni sull’autonomia. Sentiamo espressioni fuori luogo come “secessione dei ricchi” oppure “schiaffo all’uguaglianza”, che non solo sono una summa dell’ipocrisia che ancora alberga a piene mani non solo tra certi politicanti ma anche tra certi commentatori e sindacalisti, ma riportano alla mente anche un’immagine del Sud cristallizzata ai tempi di Totò e Peppino che arrivavano a Milano con il colbacco in testa e rivolgendosi al ghisa di piazza Duomo con il celebre “noio volevan savuar”. Sono certe classi dirigenti del Sud, che vivono e costruiscono il consenso ancora sugli stereotipi da “Benvenuti al Nord”, il vero male delle regioni meridionali. L’autonomia è una sfida che dovrebbero raccogliere soprattutto loro, per eliminare le sacche di inefficienza che resistono ostinatamente ad ogni cambio di governo e ad ogni spending review, e per seguire l’esempio delle regioni più virtuose come la Lombardia in termini di attenta gestione delle risorse e di eliminazione degli sprechi. Invece è molto più facile gridare al “Nord cattivo” che non rimboccarsi le maniche e migliorare le cose, soprattutto se pensiamo a certi esponenti politici siciliani, che hanno lo Statuto speciale (e qui mi sembra giusto citare non Speroni e Borghezio ma Rosaria Brancato, una giornalista messinese, che ha scritto “Abituati come siamo a lamentarci contestiamo al Nord il voler attuare quelle autonomie che noi, pur avendole, non abbiamo usato”) ma si stracciano le vesti per una goccia di autonomia concessa alle Regioni del Nord.
È in piccolo quello che sta facendo l’Italia in #Europa. Un atteggiamento provinciale, da “piangina” si direbbe alla milanese, che, come se non fossimo il Paese con il più alto debito pubblico dell’Eurozona (tutto “merito” nostro), stiamo esportando nei consessi continentali, con un governo che fa di un anacronistico sovranismo e di un vuoto e propagandistico richiamo al popolo la propria bandiera. Vedere il nostro premier Giuseppe Conte, uno che è stato piazzato a Palazzo Chigi sulla base di un accordo di palazzo tra due forze politiche che se le erano date di santa ragione (politicamente parlando) fino al giorno prima, atteggiarsi a rappresentante del Popolo e sfidare su questo terreno i parlamentari europei che il vaglio popolare, quello vero con le preferenze nelle urne, lo hanno passato sul serio, ci mostra un’immagine dell’Italia in Europa che si avvicina pericolosamente ai populismi sudamericani più che alla solida tradizione europeista che discende da De Gasperi. “Accà nisciuno è fesso” si direbbe dalle mie parti. Servono serietà e coerenza, perché la politica del populismo e delle urla scomposte non porta ad altro che alla confusione, e a ritrovarsi di fronte al tribunale del popolo che sceglie tra Gesù e Barabba. Su questo Matteo Salvini dovrebbe riflettere, anche perché un altro Matteo che pensava di giocare con il consenso popolare ci ha già lasciato le penne prima di lui. Di fronte ad uno scenario politico che si avvicina sempre di più al film “Qualunquemente”, noi di Agorà Liberi e Forti non intendiamo mollare la presa e arrenderci alla politica dei tribuni. Sull’autonomia, ad esempio, ci siamo impegnati convintamente ai tempi del referendum e continueremo a farlo, promuovendo nelle prossime settimane un’iniziativa pubblica per spiegare di che cosa si tratta davvero e come potrebbe migliorare la vita dei lombardi, dei veneti, ma anche di chi vive nelle regioni del Centro-Sud.
Buona domenica!

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