Cronaca dai palazzi che contano

 

Rubrica | Cronache dai Palazzi, Politica

Cronache dai Palazzi

di Barbara Speca | 23 maggio 2015

 

L’Aula di Montecitorio promuove il ddl “la Buona scuola” e l’anticorruzione diventa legge. Due traguardi importanti che si scontrano con le indignazioni della Consulta. “Noi non siamo – afferma il presidente Criscuolo – un contropotere. Siamo un organo di garanzia. I custodi della Costituzione. Con i governi ci possono essere difficoltà, conflittualità. Accadde pure a Roosevelt. Ricordo un libro di Singer, un capitolo si intitolava: ‘La Corte Suprema all’offensiva’. Non mi pare che in Italia siamo arrivati a tanto”.

Tutto nasce dal malumore che circonda il blocco delle indicizzazioni Istat per le pensioni superiori a tre volte il minimo, bocciato da una sentenza della Corte costituzionale a fine aprile. Il governo Renzi ha dovuto così adoperarsi per rimborsare i pensionati adottando delle soluzioni che peseranno sui conti dello Stato per 2,2 miliardi di euro nel 2015 e circa 0,5 miliardi nel 2016. “Se una legge è incostituzionale, non possiamo fermarci se la nostra decisione provoca delle spese”, è l’affermazione di Criscuolo, che aggiunge: “Noi non facciamo valutazioni di carattere economico”.

In un’intervista rilasciata al  quotidiano la Repubblica il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sottolinea, a sua volta, che la Consulta non “ha valutato il buco creato sulle pensioni” e afferma di essere “perplesso” di fronte alle rivelazioni della Corte “di non dover fare valutazioni economiche sulle conseguenze dei provvedimenti”. Padoan quindi, di concerto con il premier Renzi – che dal vertice di Riga sul partenariato orientale ribadisce il concetto – pur sottolineando il “massimo rispetto per l’autonomia della Corte”, auspica che “in futuro una collaborazione con governo e Avvocatura sia più fruttuosa”. In pratica per il ministro “sarebbe stata opportuna la massima condivisione dell’informazione”. Inoltre “se ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione dell’impatto. Anche perché questa valutazione serve per formare il giudizio sui principi dell’equità”, che “è anche quella del rapporto tra anziani e giovani”. Ciò che, ribadisce Padoan, “è mancato”.

In definitiva “il sistema pensionistico andrà rivisto con più calma nei prossimi mesi, nell’ambito della legge di Stabilità”. Per ora Padoan ha illustrato al Parlamento il decreto con il quale, secondo il ministro, il governo ha fatto “il massimo possibile”, confermando per il 2015 un obiettivo di deficit al 2,6% del Pil. Il suddetto decreto provvederebbe a rimborsare 4 milioni di pensionati.

“Intanto abbiamo recuperato due miliardi di euro e li diamo a quei quattro milioni di cittadini che ne hanno titolo”, sintetizza il presidente del Consiglio illustrando l’operazione effettuata sulle pensioni, reputandola un risultato positivo da accorpare ai primi risultati del Jobs Act sull’occupazione, in un perfetto clima da campagna elettorale. In ballo c’è inoltre la modifica della legge Fornero e il possibile pensionamento anticipato in cambio di un assegno ridotto, un tema che il governo sta studiando.

L’anticorruzione che diventa legge è invece per la squadra di Renzi un trofeo da esibire, soprattutto in vista delle Regionali. “Finalmente il falso in bilancio torna ad essere reato”, esulta il premier su Facebook inneggiando per l’ennesima volta al cambiamento e sottolineando che “il tempo dei furbetti è finito”.

Sul traballante suolo della giustizia, dopo le polemiche dei mesi passati, il governo incassa anche l’appoggio dell’Associazione nazionale magistrati – che però reclama degli interventi strutturali – e in Parlamento ottiene l’appoggio di Sel. Lega e Fratelli d’Italia si sono invece astenuti mentre Forza Italia e Movimento Cinque Stelle hanno detto no al testo Grasso-Orlando. Anche per l’agguerrita antigovernativa Rosy Bindi, esponente della minoranza Dem e presidente dell’antimafia, il nuovo testo di legge sull’anticorruzione “è un forte segnale di combattere contro l’illegalità diffusa che le mafie alimentano e in cui prosperano”.

Evidenziando i punti salienti della nuova legge emerge che le false comunicazioni sociali sono di nuovo un reato punito con il carcere. Per il falso in bilancio sono previste pene da 3 a 8 anni se la società è quotata, da 1 a 5 anni se la società non è quotata. Una parte consistente del ddl anticorruzione riguarda inoltre l’aumento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione, per cui il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (articolo 329 del codice penale) è ora punito con pene più aspre: le pene minima e massima salgono, rispettivamente, da 4-8 anni a 6-10 anni. Aumenti di pena anche per il peculato (4-10 anni) e per la corruzione impropria (1-6 anni). Le sanzioni sulla concussione non hanno subito variazioni ma investono ora anche l’incaricato di pubblico servizio e non solo il pubblico ufficiale. Si assicurano dei premi a chi collabora con l’Autorità giudiziaria aiutandola a smascherare i fenomeni corruttivi, assicurando in questo modo la prova dei reati, l’individuazione dei responsabili, il sequestro delle somme. Vengono potenziati gli interventi sulle associazioni di tipo mafioso, per cui chi dirige attivamente un’associazione mafiosa sarà punito con una pena che va da 12 a 18 anni (e non più 9-14 anni), mentre se l’associazione mafiosa è armata i promotori possono restare in carcere fino a 26 anni. Risultano infine rafforzati i controlli sugli appalti pubblici, grandi e piccoli, per cui viene potenziato il ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), presieduta dal magistrato Raffaele Cantone, che dovrà essere informata dalle procure della Repubblica ogni qualvolta vengono avvistati reati contro la pubblica amministrazione.

In pochi mesi il team renziano al vertice del Pd, guidato dal ministro Andrea Orlando, ha portato a casa il voto di scambio politico mafioso, la responsabilità civile dei magistrati, l’autoriciclaggio, gli ecoreati e infine l’anticorruzione.

La minoranza Dem comunque non molla e attende i vertici al varco, in primo luogo sulla legge dei partiti. L’ala più oltranzista del Partito democratico torna ad essere guidata di fatto da Pier Luigi Bersani e fa pressione sulla legge dei partiti per dare seguito all’art. 49 della Costituzione e, soprattutto, chiede la revisione della forma partito elaborata dalla coppia Guerini-Orfini, anche per quanto riguarda le nuove regole delle primarie. Per Matteo Orfini “il Pd non prevede provvedimenti per i voti in dissenso” ma è comunque necessaria “una riflessione dove si garantisce che il nostro partito non diventi una federazione di correnti”, afferma il presidente dem senza giri di parole. La libertà di coscienza risulta preservata su questioni etiche e materia costituzionale ma su altri temi come scuola e legge elettorale viene richiesta maggiore unità. “Trovo che votare contro decisioni assunte assieme nei gruppi sia una interpretazione molto discutibile di come si sta in partito”, ammonisce Orfini rivolgendosi alla minoranza.

“Oltre alla trasparenza e alla democrazia, prevediamo che i partiti abbiamo personalità giuridica – argomenta inoltre Guerini -. Un tema dibattuto ciclicamente dai tempi della Costituente”. Si reclamano infine “regole condivise per la disciplina di voto” e, in sostanza, il nuovo Pd sarà “un partito di iscritti e di elettori”, chiosa il premier-segretario per il quale è giunto il momento di darsi delle “regole su come si sta insieme”, il nodo politico più urgente da affrontare subito dopo le Regionali.

Facendo la conta sono 28 i dissidenti dem che non hanno votato la riforma della scuola invitando inoltre i senatori a rivedere il testo, per cui si prevede una dura battaglia a proposito di “Buona scuola” a Palazzo Madama. Anche le opposizioni si scagliano contro il governo: il leader di Sel, Nichi Vendola, considera la riforma “di destra” e il pentastellato Luigi Di Maio promette “un Vietnam”, dato che “al Senato la maggioranza si regge su 7 voti”. Seguono a ruota le polemiche di Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia sembra apprezzare alcuni aspetti della riforma del sistema scolastico. In definitiva “in uno Stato democratico nessuna riforma può farsi senza il consenso”, ammonisce Nico Stumpo, esponente dell’Area riformista pd. Per l’esecutivo, quindi, ancora una volta il vero pericolo da schivare – che rischia realmente di mettere i bastoni fra le ruote al governo Renzi – è il fuoco amico. Intanto Palazzo Chigi pensa a qualche ritocco per fronteggiare minoranza dem e opposizioni e, soprattutto, promette di impegnarsi per evitare il voto di fiducia.

©Futuro Europa®

 

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