“Cerco un Paese Innocente”, la mostra alla Biblioteca Sormani di Milano

Con i versi di Giuseppe Ungaretti si apre l’ultima mostra dell’anno dedicata dalla Sormani al “Novecento Italiano”. Documenti, dipinti e cimeli della collezione Isolabella ed edizioni originali dalle raccolte della Biblioteca rievocano il 1918 di artisti e scrittori.
L’ultimo anno della Grande Guerra, quello che va dalla disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) alla capitolazione dell’Austria (4 novembre 1918), fu per l’esercito italiano e per tutto il Paese l’anno del riscatto e della riscossa. La mostra racconta quello che avvenne, sui campi di battaglia e nelle retrovie, nei mesi cruciali che portarono alla vittoria: la resistenza sul Piave, la riorganizzazione dell’esercito, la mobilitazione dei ragazzi del ’99, l’introduzione di nuovi reparti, il fenomeno dell’arditismo, le sottoscrizioni per sostenere lo sforzo bellico, le battaglie, il volo su Vienna, lo sfondamento delle difese nemiche, la firma dell’armistizio e altro ancora.
Seguendo passo passo, in sequenza cronologica, i fatti e le iniziative di quei mesi, l’allestimento presenta una quantità straordinaria di documenti di varia natura e di eccezionale valore, provenienti dal patrimonio della Biblioteca Comunale e dalla ricchissima collezione Isolabella: dispacci militari, bollettini ufficiali, materiali di propaganda, fotografie, lettere, cartoline illustrate, dipinti, disegni, bozzetti, testimonianze, autografi, libri, riviste. Spiccano, fra i materiali esposti, i numerosi giornali di trincea (“La Trincea”, “L’Astico”, “La Tradotta”, “La Ghirba”, “Sempre Avanti”, “Il Grappa”, il “Razzo”, “La voce del Piave”, “Il Montello”, “Il Fante”, “San Marco”, “Signor sì”, “La Marmitta” ecc.), spuntati come funghi, nell’ultimo anno di guerra, per rincuorare e galvanizzare i combattenti, interessantissimi anche dal punto di vista artistico e tipografico. Approvati ufficialmente con circolare del 29 marzo 1918, i giornali di trincea, stampati a cura dei vari Corpi d’armata, videro la collaborazione di artisti e letterati combattenti non ancora famosi, come Massimo Bontempelli, Piero Jahier, Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Mario Sironi, Giuseppe Ungaretti e Ardengo Soffici. Nel corso dello stesso anno cominciarono a diffondersi anche fuori dal fronte, aumentando tirature a livello nazionale.
E proprio ad artisti, poeti e scrittori in divisa, che hanno vissuto in prima persona, e spesso in prima linea, l’esperienza epica e drammatica della guerra, viene riservata la parte principale dell’esposizione. Opere pittoriche e grafiche di Campigli, De Pisis, Dudovich, Marussig, Musacchio, Nomellini, Oppo, Ponti, Rosai, Rubino, Sironi, Soffici, Viani si affiancano ai testi di Alvaro, Bacchelli, Borgese, Buzzi, Comisso, D’Annunzio, De Roberto, Frescura, Gadda, Hemingway, Jahier, Marinetti, Monelli, Palazzeschi, Puccini, Rebora, Saba, Solmi, Stuparich, Ungaretti, Vann’Antò: un’intera stagione di arte e letteratura è come ricapitolata nelle vetrine e alle pareti dello Scalone d’onore attraverso cui si snoda la mostra.
Perché rievocare, a distanza di cent’anni, questa pagina di storia? Non certo per manie di grandezza, né per rinfocolare vecchi conflitti che hanno fatto il loro tempo. La memoria della Grande Guerra non deve andar persa per almeno due ottimi motivi: per rendere omaggio, da un lato, alle diverse centinaia di migliaia di soldati che furono sacrificati sull’altare dell’indipendenza e dell’unità nazionale, ma anche, dall’altro, per alimentare nelle nostre coscienze l’orrore della guerra (Giuseppe Langella).

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