Odio su Facebook, intervista di Criseo al criminologo D. ROMEO
1) Domanda. Su facebook in particolare, il social più diffuso, si assiste a campagne di violenze che, in talune menti malate possono indurre a comportamenti violenti e criminali. Cosa consiglia per diminuire i rischi ed i comportamenti che possono indurre a tali deviazioni ?
Risposta.L’odio sociale è una prerogativa che è sempre esistita in qualsiasi forma di società costruita dall’uomo. Sin dai tempi antichi possiamo ricavare da molti graffiti, poemi, letture, analisi di percorsi storici, che l’essere umano ha posto in essere sempre l’odio come strumento di prevaricazione di se stesso e consacrazione della propria identità (intesa come modello di identità sociale, personale, via discorrendo). Le antiche civiltà precolombiane, come i Mongoli di Tamerlano e gli antichi Atzechi,ostentavano l’odio verso altri popoli conquistati, attraverso stupri, sequestri di persona, dileggi vari, decapitando nemici ed innalzando piramidi di teschi, come forme di pubblici messaggi simbolici. Ad oggi, l’ostentazione dell’odio viaggia in rete perché la globalizzazione dei sistemi mediatici permette una diffusione rapida, tutto è raggiungibile con un clic in tutti i luoghi del mondo. La tecnologia nel corso degli ultimi decenni ha fatto passi da gigante e permette di essere messi a conoscenza di qualsiasi episodio violento che in passato avremmo solo potuto leggere sui quotidiani. Il cyberbullismo rappresenta una nuova frontiera dell’ostentazione all’odio, oltre che una condotta ritorsiva ed aggressiva verso la vittima, una frontiera già oltrepassata da tempo, su cui dobbiamo tutti vigilare: educatori, criminologi, famiglie, società civile. Esso è un grave pericolo per i risvolti anche psicologici che si abbattono sui soggetti passivi del reato, risvolti che spesso sfociano in modalità autolesioniste e suicidarie. E’ importante coinvolgere la coscienza della prevenzione su simili atteggiamenti devianti, partendo dall’educazione, dalle famiglie, dalle scuole, agli strumenti tecnologici che possono filtrare immagini dai contenuti lesivi che potrebbero istigare una pericolosa forma di “reazione a catena”: l’emulazione. Essa, è una molla latente in personalità in cui l’aggressività latita in maniera più o meno conscia, così come è altrettanto una molla che permette di svelare molte psicologie aduse all’omicidio seriale”.
2) Domanda. Sempre in relazione ai social, perché certi reati particolarmente odiosi come le torture verso gli animali, vengono esposti come trofei?
Risposta. Come sopra richiamato, i social sono uno specchio della società di oggi. Sono una vetrina ed allo stesso tempo danno la possibilità di essere vetrina. Talune menti disturbate, con personalità edonistiche a larghi tratti con abnormi tendenze al voyerismo, interpretano l’utilizzo della tecnologia come un metodo di ostentazione personale. Badiamo ad una differenza sostanziale, fra il messaggio che passa attraverso la carta stampata ed il messaggio che passa attraverso la rete. Nello specifico, restando sempre in tema di crimini verso gli animali, non esiste e non potrebbe mai esistere un giornale cartaceo atto a divulgare contenuti istigatori o immagini di efferati crimini verso gli animali in forma apologetica, perché vi è un controllo diverso a tema sull’utilizzo sia dei contenuti, sia delle immagini. Il giornale sarebbe subito sottoposto a sequestro, con conseguente identificazione da parte dei responsabili dell’apologia di violenza verso gli animali. In rete c’e’ molto permissivismo perché la tastiera di un p.c. offre, a talune menti deliranti, la possibilità del “distacco reale” dalla quotidianità dal punto di vista dell’impatto emotivo, mascherandosi dietro una parvenza di “isolata anonimità”. Lo schermo, pertanto, diventa un mezzo “impersonale”, alla portata di tutti ed allo stesso tempo scevro da responsabilità personali. Tuttavia, chi divulga apologia di odio verso gli animali postando video di torture ed aberrazioni varie, lascia comunque delle tracce elettroniche, dando campo libero ai periti di potere risalire all’identità certa dei soggetti interessati. Stiamo parlando di persone dedite a forme particolari di crimine, psicologie complesse e tuttora sotto studio. E’ bene anche precisare un particolare: la crudeltà verso gli animali ( zoosadismo) è uno degli indicatori che va a costruire la cosidetta “Triade di MacDonald”, elemento eziologico che va a edificare, identificare, la personalità del serial killer.
3) Domanda.Come si spiegano gli atteggiamenti di condivisione di massacri contro civili innocenti? Ci riferiamo in modo particolare ai terroristi.
Risposta. Un messaggio terroristico in cui si ostenta l’uccisione di alcuni prigionieri, ad oggi, è alla portata di tutti. Ricordiamoci che, secondo gli studi prestati alla criminologia clinica dalla psichiatria forense, specificatamente dal dott. David Lester, i crimini di terrorismo perpetrati da guerriglieri sono da considerare come omicidi seriali a tutti gli effetti. Il terrorista che, in forma abituale, uccide diverse persone in funzione di una propria pulsione ideologica, è da ritenersi un serial killer, inquadrabile nella categoria del “missionary”(missionario). La divulgazione del gesto criminale da parte di un gruppo terroristico (come ad esempio l’ ISIS), è da intendersi come un messaggio propagandistico-ideologico, atto ad attestare una norma, una regola, un precetto che identifica specificatamente un gruppo etnico, religioso e quant’altro. Rappresenta un monito, la marcata affermazione di un allargato e condiviso senso di ego-sociale, tipico di un tipo di società “organica” perché rigidamente teocratica. Contestualmente però, il video propagandistico messo in rete da cellule terroristiche, simboleggia una minaccia. Chi li divulga, quindi, lo fa per questi motivi. Di diverso campo di applicazione è l’atteggiamento di chi condivide simili video. C’e’ chi lo fa per generare conflitti sociali (effetto strumentalizzante del messaggio), c’e’ chi lo fa perché ritiene in buona fede di fornire informazione alla pubblica piazza, c’e’ chi lo fa perché soggetto con personalità fragile e facilmente trasportabile. In tutta onestà, io sono contrario alla pubblicizzazione mediatica dei video postati dai terroristi. Significa fare il loro gioco, adoperarsi alla legittimizzazione della psicologia del terrore ed allo stesso tempo significa scartavetrare coscienze disturbate intorno a noi che somatizzerebbero in forma distorta il pericoloso imput”.