IL SILENZIO DEI BAGOLARI

Era una fredda sera di febbraio. Il sole era scomparso da tempo dietro la Prepositurale, e tutta la via Roma era immersa in un buio spesso, appena mitigato dalle luci dei lampioni che a stento filtravano dalle fronde degli immensi alberi disposti l’uno in fila all’altro sui marciapiedi.

Non tutti sanno che gli alberi si parlano. Non lo fanno di giorno, perché il clamore degli umani – delle loro voci e dei mezzi a motore che essi guidano – li confonde e infastidisce. Attendono così la notte, quando la maggior parte di quei chiacchieroni è a letto, o comunque chiusa in casa. E ogni specie arborea ha una voce diversa. La betulla per esempio l’ha tenorile, chiara e ben scandita. Il faggio, re del bosco, è un baritono, la quercia un basso. Beninteso queste differenze  le colgono soltanto loro: agli umani sembrano tutte uguali, poiché le percepiscono come una specie di fruscìo. Il verbo “stormire”, che essi usano, è in verità ben lungi dal rendere tutte le sfumature della lingua arborea.  Solo un poeta intuì questa varietà di voci ( “… e il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora … ). Ma era, per l’appunto, un poeta.

Quella notte di febbraio il silenzio dei bagolari (perché tale era la specie degli alberi colà a suo tempo piantati) fu lungo. Lungo e denso di angoscia. Le fronde, immote, sembravano dipinte nell’aria scura.

A un tratto  i rami dell’albero chiamato Brik, quelli più fini e sensibili, presero a muoversi lievemente.

Credono gli umani che sia il vento a scrollare le fronde degli alberi. In realtà esse possono muoversi anche senza un alito di brezza, grazie al contrarsi e distendersi delle nervature interne della pianta. Così i rami e le foglie – anche le grame foglie risparmiate da quel freddo inverno – sfregandosi fra loro producono quello che gli uomini ignari chiamano fruscio, e sono invece parole. E quella notte la lingua arborea che solo essi potevano intendere vibrò infine nell’aria freddissima e oscura. Ognuno aveva lo stesso pensiero, ma avevano atteso tanto a parlare perché lo sgomento li serrava fin nel profondo midollo,  nell’ anima vegetale che continua per qualche tempo a vivere anche dopo che il tronco è segato e abbattuto.

–        Dunque è vero. –

La voce di Brik era un angosciato sussurro. Le sue brevi parole furono udite dagli alberi a lui più vicini, i cui nomi erano Blok, Buk e Bagok,  e da questi ripetute si trasmisero tosto a tutti gli alberi del corso, da quelli più prossimi alla chiesa grande a quelli di fronte al vecchio stadio ora rimesso a nuovo. I rami come antenne sensibili le avevano percepite e trasmesse ai fratelli, in quel modo insieme delicato e solenne che era tipico della loro nobile specie.

–        Sì Brik, è vero. –

–        Buk, ci uccideranno tutti … –

–        Non tutti. I nostri fratelli al di là della rotonda verranno risparmiati. Uccideranno noi che presidiamo questo tratto di via.  –

Seguì un lungo silenzio.

–        Ma cosa gli abbiamo fatto di male? – chiese Brik con un alito di voce.

Rispose Bagok dall’altro lato della strada: – Sentivo oggi dalle voci degli umani che coloro che ci vogliono uccidere non sanno nemmeno essi il perché. Ora dicono che con le nostre radici rompiamo i marciapiedi, ora che sfondiamo le cantine delle case vicine, ora che foriamo le tubature … –

Avendo chiesto la parola con un gentile movimento dei rami più sottili, fattosi silenzio per tutto il corso, così parlò il saggio Blok: –  Noi abbiamo il potere di scuotere i nostri rami, di parlarci gli uni con gli altri, di affidare messaggi agli uccelli che nidificano fra le nostre chiome. Ma non di governare le robuste radici. Le chiome sono la nostra parte più nobile, simile, negli umani, alla mente raziocinante. Le radici sono piuttosto simili ai loro indocili impulsi. Se gli uomini pensano che esse producono danni, perché mai non agiscono su di esse e sul sottosuolo che le circonda? Perché fare di noi ciocchi da ardere nei camini o mobili per le loro case? –

–        Eravamo nati per vivere secoli … – soggiunse  Buk. E la sua voce era un triste sussurro nel buio, tanto che i fratelli più lontani non udirono distintamente, e agitarono le loro fronde con impazienza.

–        Dato ombra per anni e anni a chi passava sotto di noi. Rinfrescato l’aria d’estate, e resa pura per come potevamo … –  

Un bagolaro non piange, e così non piangevano i bagolari di via Roma. Restavano muti e immoti nel buio.

–        E cosa metteranno al nostro posto, quando saremo diventati legna da ardere o l’anta di una scarpiera ? – chiese Bagok rompendo il silenzio.

–        Dei carpini – rispose Buk –  l’ho sentito dire questa mattina da alcuni umani che passavano qui sotto, e sembrava sapessero molte cose. –  

–        Dei carpini?… dei carpini?… dei carpini?… dei carpini? … – . L’interrogazione si propagò attonita e incredula lungo il duplice filare degli immani monumenti della natura, torreggianti sui bassi palazzotti del corso.

E qui si vide la tempra di cui sono fatti i bagolari, alberi corazzieri, essenze impavide, usi ad accogliere allo stesso modo la buona sorte come la ria. Erano essi vicini alla fine, eppure  al pensiero che coloro che consideravano miseri scherzi di natura li avrebbero sostituiti, un riso di pancia cominciò a scuoterli, tosto propagandosi lungo entrambi i filari da piazza Libertà fino alle estreme propaggini orientali della città sepolta nel buio. Sembrò perfino ai radi passanti notturni che le monumentali colonne arboree si piegassero su se stesse, e che un lieto ronzio sciamasse improvviso nel buio.

Infine la voce di Blok, il forte e saggio Blok, si levò nella notte, e il suo messaggio risuonò forte e chiaro – per coloro che potevano comprenderlo – dalla piazza grande fino all’estremo confine della piccola città.

–        Noi moriremo, sì. Ma tale sarà lo spettacolo di desolazione che lasceremo in questa via che fu nostra, che ogni passante avrà per noi un pensiero, un rammarico, un rimpianto. E si chiederà, ad ogni passo si chiederà: perché? –

E sulla via Roma calò nuovamente il silenzio, un silenzio gravido di tanti pensieri. Lontano, verso Solaro, balenavano all’orizzonte le prime pallide luci dell’alba.

Alfonso Indelicato

Consigliere comunale eletto a Saronno

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *