Selezione del personale, 3 regole per software a “prova di privacy”

Avvocato Marco Martorana
Avvocato Marco Martorana

Quando devono reclutare una nuova risorsa, le imprese si affidano sempre più spesso ai software per la selezione del personale, capaci di scandagliare un grande numero di candidati, sottoporli ai loro algoritmi e identificare quelli più idonei. Non c’è dubbio sul fatto che queste tecnologie sollevino i professionisti delle HR da una mansione ripetitiva come la scrematura manuale dei CV, consentendo loro di focalizzarsi sui colloqui. Ma non si rischia così di sottovalutare gli aspetti legati alla privacy?

“L’attività di ricerca e di selezione del personale, di persona o tramite software, per sua natura implica un trattamento dei dati personali dei candidati ed è soggetta alle disposizioni di legge in materia di privacy e diritto del lavoro”, chiarisce l’avvocato Marco Martorana, fondatore dell’omonimo studio legale con sede a Lucca, operativo da oltre 15 anni nel settore della protezione dei dati personali, con particolare attenzione per le nuove tecnologie. “Quando sceglie un nuovo software, dunque, il datore di lavoro è tenuto a verificare che sia compatibile con le normative di riferimento”.

La normativa europea sulla privacy (GDPR) infatti pone dei precisi paletti sul trattamento automatizzato dei dati personali, quando questi sono processati solo dalle macchine, senza iniziale intervento umano, e in particolar modo sulla profilazione, che entra in gioco quando questi dati vengono sfruttati per valutare determinati aspetti personali, come la situazione economica, la salute, il comportamento, l’affidabilità e, nel caso di specie, ove possano comportare lo svolgimento di attività predittive su aspetti riguardanti il rendimento professionale.

Secondo l’avvocato Martorana sono essenzialmente 3 gli step fondamentali per un uso del software per la selezione del personale ‘a prova di privacy’:

  1. Il primo passo che il datore di lavoro deve compiere è chiedersi se l’utilizzo di questo software sia davvero necessario e indispensabile per fronteggiare le esigenze organizzative della propria azienda (ad esempio perché il numero di candidature che arrivano tutte le volte in cui viene aperta una selezione è talmente alta da non poter essere gestita in modo semplice e veloce tramite le modalità “standard”- e quindi tramite selezione manuale).
  2. Una volta appurata la necessità di ricorrere a un software di questo tipo, sarà necessario procedere ad una valutazione d’impatto (GDPR art. 35) ossia ad un processo che analizzi tutti i possibili rischi connessi a questa attività.
    “Il processo di selezione dei candidati gestito unicamente da un software che, in via automatizzata, respinge o accetta una candidatura, deve essere analizzato con cura da parte del Titolare, affinché non si corra il rischio di generare discriminazioni, o effetti analoghi, nei confronti degli candidati. Questa analisi è possibile sottoponendo a valutazione di impatto tutto il processo di selezione, compreso il funzionamento dell’algoritmo utilizzato”.
  3. Il terzo passo è adottare degli strumenti che tutelino il candidato, ad esempio consentendogli di contestare la decisione assunta nei suoi confronti dal software qualora ritenga di essere stato discriminato dalla stessa, oltre quello di chiedere ad una persona umana di procedere alla valutazione della sua candidatura. “Fermo restando che il trattamento automatizzato dei dati dev’essere funzionale ai soli fini della selezione, il candidato ha diritto di ricevere in anticipo un’informativa in cui si precisa che la valutazione della sua candidatura potrà avvenire anche ricorrendo ad un software che procederà alla selezione mediante un procedimento automatizzato, ma che, in ogni caso, avrà sempre diritto di contestare la decisione assunta nei suoi confronti, esprimere la sua opinione, e chiedere che sia una persona umana a esaminare la sua posizione”, spiega l’avvocato Martorana.

Non si può sottovalutare, poi, che lo Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro di fare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore e, più in generale, su tutti i fatti che non sono strettamente attinenti alla sua professione. “Questo principio è valido sia nel processo di assunzione sia durante lo svolgimento dell’incarico. Bisogna quindi accertarsi del fatto che il software non ‘filtri’ i candidati su criteri che non siano puramente professionali”, conclude l’avvocato Martorana.

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