Calciomercato, nuove norme sulla circolazione dei calciatori comunitari

Lo sport dovrebbe unire il mondo, è anzi una delle poche cose sui cui non ci dovrebbero essere discussioni, ma si sa che quando ci sono di mezzo politica e soldi tanti soldi, le cose si complicano.

Le norme della libera circolazione nel territorio europeo hanno cambiato notevolmente il modo di vivere il calcio, ma anche e soprattutto il modo di fare calcio. L’arrivo di calciatori comunitari, ma pur sempre stranieri, ha in un certo senso spaccato a metà la comune concezione del calciomercato. Da un lato la necessità di aprire le porte e nuovi fenomeni come fu per Liedholm, Bela Guttman, Nordal e tanti altri. Dall’altro, però, si è arrivati ad un impoverimento del calcio Made in Italy con un graduale allontanamento dal settore giovanile per favorire un mercato più economico come quello spagnolo, francese, sloveno, ecc.

Statistiche alla mono, infatti, si può notare come in Serie A, come sottolinea in un suo preciso articolo TuttoLecce.net, si registrano squadre con un numero imponente di calciatori stranieri, dai 19 del Napoli, ai 23 dell’Udinese. La conseguenza? La fatica di far emergere i giovani talenti nostrani presenti nelle categorie minori e un fallimento della Nazionale Italiana nelle competizioni ufficiali come Europei o Mondiali. Ne sono la dimostrazione la mancata qualificazione dell’Italia di Ventura ai Mondiali 2018 e l’eliminazione dell’U21 proprio ieri dall’Europeo di categoria.

“Non nascono più talenti in Italia” – Affermazione comoda quanto non veritiera. “Il discorso degli stranieri in Italia va di pari passo con la compravendita di società a imprenditori stranieri -spiega il manager Alessio Sundas- Gli stranieri sono certamente una ricchezza, ma questa non può coincidere con l’impoverimento del calcio nazionale. Bisogna puntare sui vivai, sui nostri giovani. Cambiare rigorosamente la concezione del mercato. Con la liberalizzazione non possiamo vietare l’ingresso di calciatori stranieri o fissare un numero limitato come fu nel ’68 dopo l’annata nera della non qualificazione ai Mondiali. Non possiamo, però, neanche pensare di proseguire in questo modo. Il calcio è malato, sia nel senso che è marcio e sia nel senso letterale del termine. Il nostro calcio è agonizzante, ma non serve un miracolo, serve lungimiranza. Puntiamo sui giovani, sul settore giovanile attrezzato in tutte le sue, puntiamo sul Made in Italy”.

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