NAPOLI, COLPO MORTALE ALLA “ALLEANZA DI SECONDIGLIANO” E CLAN CONTINI

OPERAZIONE 26 GIUGNO 2019 CONTRO

L’ALLENZA DI “SECONDIGLIANO” E CLAN CONTINI. ESECUZIONE DI UNA MISURA CAUTELARE NEI CONFRONTI DI 126 INDAGATI

DOCUMENTO IN VERSIONE INTEGRALE -UFFICIALE

PREMESSA

I provvedimenti cautelari eseguiti nella mattinata odierna (ordinanza di applicazione di misura cautelare nr. 1718/11 RGNR – 37959/15 RGGIP – 2016/19 ROCC) emessi dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli, sono il frutto di approfondite e prolungate investigazioni condotte, nel periodo ricompreso tra il 2012 e il 2016, nei confronti di numerosi indagati, ritenuti affiliati all’organizzazione camorristica nota come Alleanza di Secondigliano, con particolare riguardo al clan Contini, sodalizio mafioso del centro del capoluogo partenopeo ad essa federata unitamente al clan Mallardo di Giugliano in Campania e al clan Licciardi di Napoli Secondigliano.

Le indagini sono state condotte dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli, con apporti investigativi forniti dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli, dai Centri Operativi della DIA di Napoli e Roma e dal GICO del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli e il contributo di Interpol.

Le posizioni vagliate dal GIP sono state 213. Tra queste, il giudice della cautela ha ritenuto sussistere gravi indizi di colpevolezza nei confronti di 159 indagati, ravvisando esigenze cautelari per 126 soggetti, di cui 89 in carcere, 36 agli arresti domiciliari e un divieto di dimora nella regione Campania. Verso i 213 indagati, sono 132 le contestazioni mosse dalla Procura, di cui 2 associazioni di tipo mafioso, per le quali sono stati riconosciuti appartenenti 87 esponenti di vari livelli, 7 associazioni per delinquere, di cui 1 dedita a furti di ingente valore, 1 dedita a truffe ad istituti assicurativi RCA, 1 dedita a traffico, spaccio e detenzione  di  sostanze  stupefacenti,  2  finalizzate  al  contrabbando  di  tabacchi  lavorati esteri (di cui solo una riconosciuta dal GIP), 1 dedita al traffico di banconote false e 1 dedita a rapine di orologi Rolex. Per quest’ultime il GIP ha ritenuto non ricorrere un quadro indiziario  sufficiente  a  configurare  l’esistenza  di  una  struttura  associativa.  E  ancora, documentate  37  richieste  estorsive,  25  vicende  usurarie  a  cui  sono  connesse  altre  12 pretese  estorsive  ai  danni  di  vittime  insolventi,  11  sono  invece  le  contestazioni  di reimpiego  o  riciclaggio  di  utilità  economiche,  più  altre  ipotesi  delittuose  come  tentati

omicidi, intestazioni fittizie e altro.1

La  presente   indagine,   nell’ambito   di  una  prolungata  e   mirata  strategia  tesa  alla disarticolazione della storica struttura mafiosa metropolitana che ormai da oltre un trentennio, attraverso le articolazioni territoriali riferibili alle tre citate consorterie (Contini, Mallardo e Licciardi) presidia ampi spazi dell’economia legale e controlla vasti settori di traffici illeciti, si pone in linea di continuità con altre che sono già approdate a significativi riconoscimenti giudiziari. Tra queste vanno senz’altro annoverate, richiamando solo quelle più recenti:

  • ordinanza applicativa di misure cautelari personali nr. 17982/05 RGNR – 15112/06 RGGIP – 652/12 ROCC emessa, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 12.10.2013 nei confronti di 92 esponenti della camorra (90 in carcere e 2 misure  interdittive)  appartenenti,  con  ruoli  diversi,  tra  vertici,  partecipi  e  concorrenti esterni, al clan Contini e al clan Mazzarella. L’indagine, condotta da Carabinieri, Polizia di Stato e DIA, oltre a fornire un aggiornato spaccato su gerarchie interne, dinamiche e relazioni,  interne  ed  esterne,  dei  due  sodalizi  di  Napoli,  consentì  di  documentare,  in particolare, l’esistenza, nella Capitale, di una struttura criminale operante nella gestione, con  modalità  illecite  e  tramite  prestanome,  di  una  holding  di  imprese  commerciali impegnate  prevalentemente  nel  settore  della  ristorazione,  riconducibile  ai  fratelli Antonio, Luigi e Salvatore Righi, realizzata originariamente con fondi provento di delitto e utilizzata per svolgere attività di reimpiego di risorse di provenienza illecita per conto del clan Contini, di cui i predetti Righi sono risultati essere concorrenti esterni. Inoltre, è stata accertata l’operatività di altro gruppo imprenditoriale con interessi economici in Campania e  in  altre  regioni,  riferibile  ai  fratelli  Di  Carluccio  Ciro,  Antonio  e  Gerardo, esponenti del clan Contini. Infatti, furono sottoposte a sequestro numerose attività dei più  disparati  settori,  dai  locali  di  intrattenimento  quali  bar,  pizzerie  e  ristoranti,  a distributori di carburati e aree di servizio, nonché beni mobili e immobili per un ingente valore.  Il  rito  abbreviato  e  il  relativo  appello  si  sono  conclusi,  rispettivamente,  il 22.7.2015  e  il  15.6.2017,  con  la  condanna  di  31  imputati  in  primo  grado  e  di  29 appellanti, rappresentanti tutta l’area criminale e i vertici del clan Contini. È intervenuta anche sentenza di primo grado rito ordinario con la condanna di 69 imputati, tra i quali spiccano  i  nomi  di  Di  Carluccio  Ciro,  riconosciuto  essere  al  vertice  anche  dell’ala criminale oltre che a capo di quella economica del sodalizio, e a cui poi vanno collegate le condanne dei numerosi riciclatori e intestatari fittizi del clan, oltre che la condanna di Botta  Salvatore  cl.  50  e  di  Aieta  Rita  anche  loro  figure  apicali  dell’organizzazione.

1     Per maggiori dettagli, si confronti la tabella riepilogativa in fondo.

Condannati anche i riciclatori o intestatari fittizi del gruppo Righi;

  • ordinanza di applicazione di misura cautelare nr. 1718/11 RGNR – 37959/15 RGGIP – 49/15 ROCC emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli l’8.2.2016, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, nei confronti di 35 appartenenti al clan Contini, responsabili, a vario titolo, di delitti di traffico, detenzione e spaccio di stupefacenti. Questa attività, in particolare, ha costituito una prima parte della complessiva manovra investigativa condotta dal ROS e dal  Nucleo  Investigativo  di  Napoli,  con  la  collaborazione  della  Guardia  Civil  e  della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, in direzione del citato sodalizio camorristico, le cui emergenze sono state riprese anche nell’o-dierna misura. Il relativo procedimento si è concluso con la condanna, in primo (17.3.2017) e secondo grado (9.4.2018), di tutti gli imputati (32). Già in quell’ambito, era stato dimostrato:

.   la  gestione  e  il  controllo  delle  piazze  di  spaccio,  anche  con  l’utilizzo  di  “vedette armate” nel centro della città nelle aree orbitanti intorno alla zona c.d. della Ferrovia da parte del gruppo diretto da Aieta Antonio e del sottogruppo di Bosti Ettore e Tolomelli Vincenzo;

.   l’operatività di canali di approvvigionamento dello stupefacente, in particolare del tipo cocaina e marjuana dall’Olanda;

.   l’esistenza di una “cassa comune” nella quale confluivano i proventi dell’attività di spaccio, utilizzati in seguito per l’acquisto di ulteriori partite di stupefacenti, per il sostentamento delle famiglie degli associati detenuti, nonché per il pagamento delle mesate agli affiliati in libertà;

.   l’organicità al sodalizio di Barra Felice, imprenditore nel settore dell’importazione e della vendita di fiori, quale collegamento tra il clan Contini (nella persona del reggente pro tempore Aieta Antonio) ed elementi di primo piano della cosca di ‘ndrangheta  dei  Commisso  di  Siderno  (RC)  e,  in  particolare,  con  Crupi  Vincenzo, attualmente detenuto, titolare di alcune società d’import & export di fiori in Italia e in Olanda;

.   lo stretto rapporto tra Bosti Ettore e i fratelli Romano, Raffaele e Salvatore, napoletani dimoranti in Spagna e titolari della pizzeria “Totò e Peppino” di Madrid, ritenuti dalla Polizia spagnola coinvolti in un traffico di stupefacenti dal Sud America. In particolare, nel settembre del 2013 la Polizia francese, presso lo scalo aeroportuale di Parigi, procedeva al sequestro di circa 1300 kg. di cocaina occultata all’interno di alcune valige imbarcate su di un volo di linea, proveniente di Caracas. A seguito di tale sequestro, Romano Raffaele si dirigeva in Colombia ove faceva perdere le sue tracce, poiché vittima probabilmente di “lupara bianca”.

L’attività d’indagine oggetto dell’odierno provvedimento, supportata soprattutto da attività di  natura  tecnica,  da  servizi  di  osservazione  e  pedinamento  e  dalle  riscontrate  e convergenti  dichiarazioni  di  collaboratori  di  giustizia,  ha  permesso  di  documentare l’operatività del clan Contini nel centro di Napoli e in particolare nei quartieri Vasto e Arenaccia e nelle c.dd. zone di San Giovanniello, di Borgo di Sant’Antonio Abate e dei Ponti Rossi, nonché il ruolo di vertice ricoperto e la perdurante operatività, nonostante lo stato di detenzione  di  alcuni  di  essi,  degli  storici  capi  come  Contini  Eduardo,  Bosti  Patrizio, Mallardo Francesco, Licciardi Maria e delle mogli dei primi tre Aieta Maria, Aieta Rita e Aieta  Anna  (sorelle  tra  loro).  Le  investigazioni,  in  linea  anche  con  i  più  recenti  esiti giudiziari  di  cui  si  è  dato  conto,  hanno  quindi  restituito  piena  e  decisa  conferma sull’attualità    dell’esistenza    e    dell’operatività    della    Alleanza    di    Secondigliano2,

2 La c.d. “Alleanza di Secondigliano” è un cartello criminale sorto sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso e costituito dal clan Mallardo di Giugliano in Campania, dal clan Contini dei quartieri Vasto e Arenaccia di Napoli e dal clan Licciardi originario della Masseria Cardone, rione popolare tra Miano e Secondigliano di Napoli e attualmente diretto da Licciardi Maria, sorella del defunto (1994) capo storico Licciardi Gennaro alias ‘a Scigna. Il consolidamento di questa ampia aggregazione mafiosa è stato favorito dai legami di parentela tra i vertici del clan Mallardo e Contini, nonché da intese criminali tra lo stesso Mallardo Francesco e Licciardi Gennaro.

Esistenza, struttura e operatività dellAlleanza sono state fissate da più provvedimenti giudiziari definitivi:

  • sentenza del Tribunale di Napoli nr. 4515 del 17.11.1994, irrevocabile il 21.10.1996, con la quale sono stati condannati per associazione di tipo mafioso, tra gli altri, Licciardi Vincenzo, fratello dello storico leader  Gennaro.  Tale  decisione,  partendo  proprio  dalla  ricostruzione  delle  vicende  che  portarono all’affermazione del clan Licciardi, delineò, per la prima volta, l’esistenza di una vera e propria alleanza tra il gruppo criminoso che tradizionalmente operava in Secondigliano (clan Licciardi) e quelli facenti rispettivamente capo a Contini Eduardo e ai fratelli Mallardo, Francesco e Giuseppe, sottolineandone l’incontrastata  preminenza  («non  si  fa  un  illecito  se  non  è  d’accordo  Secondigliano»,  secondo  la formula di uno dei dichiaranti all’epoca esaminati);
    • sentenza   del   Tribunale   di   Napoli   del   18.12.1997,   divenuta   irrevocabile   l’1.10.2002   (CONTINI Eduardo+32), che ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione camorristica capeggiata da Contini Edoardo e dal cognato Bosti Patrizio, ma, nel corpo della motivazione, si dà atto dell’esistenza di una aggregazione criminale tra le famiglie Licciardi, Contini e Mallardo, egemone in gran parte dell’area metropolitana  con  estensione  anche  nell’area  nord  (almeno  a  partire  dal  1990,  epoca  cui  fanno riferimento   i   fatti   contestati)   nel   settore   delle   estorsioni,   della   distribuzione   delle   sostanze stupefacenti e delle scommesse clandestine;
    • sentenza del Tribunale di Napoli del 3.10.2001, irrevocabile il 17.5.2005, con la quale sono stati tra gli altri condannati Lo Russo Mario in quanto aveva ricoperto, unitamente al fratello Giuseppe (anni 1998-

99)  ruolo  apicale  nell’ambito  dell’“Alleanza  di  Secondigliano”  che,  anche  sotto  la  loro  costante direzione, ha visto crescere nel tempo in misura notevole la propria capacità di intimidazione, fino a diventare una delle più importanti e pericolose associazioni operanti sul territorio campano. Questa sentenza è da considerare di assoluto rilievo tra i provvedimenti giudiziari, non solo perché contempla tra  i  partecipi  all’ampia  organizzazione  esponenti  di  primo  piano  del  clan  Lo  Russo  di  Miano,  ma soprattutto perché è la prima pronuncia in cui si ricorre alla definizione del cartello camorristico con l’espressione «Alleanza di Secondigliano». Anche per i giudici, il sodalizio, nato negli anni 1984/1985, quale evoluzione della “Nuova Mafia Campana”, cartello criminale organizzato, tra gli altri, da Licciardi Gennaro,  in  contrapposizione  alla  “Nuova  Camorra  Organizzata”  di  Raffaele  Cutolo,  presentava caratteristiche già evidenziate nelle decisioni in precedenza citate: «Il materiale probatorio acquisito non lascia dubbi circa la esistenza e la attuale operatività di una super-organizzazione fungente da cartello  criminale  egemonizzato,  ossia  da  raggruppamento  di  famiglie  camorristiche,  insediate  in diverse zone di Secondigliano e della provincia napoletana ed in particolare di quelle facenti capo alla famiglia Licciardi, Bocchetti, Contini, Mallardo di Giugliano e Lo Russo». Tale organizzazione criminale, quale che sia la sua concreta denominazione, opera nel territorio metropolitano in posizione di assoluta supremazia. L’Alleanza, attraverso un sistema di confederazione delle diverse consorterie mafiose indicate, persegue il costante obiettivo di eliminare i clan rivali o comunque di estendere la sua egemonia su ogni quartiere cittadino; agisce in tutti i tradizionali settori criminali di interesse per associazioni mafiose (estorsioni, traffico di stupefacenti, gestione del gioco d’azzardo, contrabbando

rappresentativa di una confederazione tra organizzazioni camorriste storicamente operanti nella città e nella provincia di Napoli, e su tutto il territorio nazionale, fondata e diretta dai vertici delle famiglie mafiose Mallardo, Bosti-Contini e Licciardi. Una imponente quanto  radicata  struttura  camorristica  che,  nel  perpetuare  un  modello  organizzativo ereditato da quella che negli anni Ottanta venne promossa e capeggiata dal noto Carmine Alfieri, è riuscita ad esercitare, come a Caserta il clan dei Casalesi che di quella stessa origine è connotata, un controllo ultratrentennale vastissimo non solo in termini territoriali, avendo nel tempo abbracciato – stringendo accordi più o meno duraturi, o raggiungendo intese su specifici settori economici, con altri gruppi criminali – la quasi totalità dell’area metropolitana partenopea, ma anche in tutti quei settori legali dell’imprenditoria, del commercio e degli investimenti che si sono dimostrati essere i più remunerativi. Sono proprio le vicende ricostruite nel provvedimento cautelare odierno ad offrire un efficace quadro d’attualità su come aspetti fondamentali per la vita dell’Alleanza, già oggetto di statuizioni giudiziarie, quali la gestione dei processi decisionali nei comparti economici di pertinenza, le modalità di intervento in caso di grandi eventi di interesse o la cura di

di sigarette e altro); dispone di una cassa comune, divisa tra i gruppi facenti parte del cartello, alla quale  affluiscono  parte  dei  proventi  delle  attività  delittuose,  versati  a  titolo  di  “tributo”  dai  diversi sodalizi camorristici operanti nel territorio metropolitano, poi suddivisi in quote tra i vari clan federati; ha stretto alleanze strategiche con altre aggregazioni (come i Giuliano di Forcella, oggetto, per il vero, di rapporti altalenanti, contrassegnati, cioè , da fasi di scontro e di collaborazione, anche se il gruppo di Forcella si è sempre trovato in una oggettiva condizione di inferiorità rispetto all’Alleanza); è entrata in aspro conflitto con clan quali i Mazzarella e i Misso, e ha subito anche un grave scontro interno, dovuto alla scissione di Sabatino Ettore, capo del “gruppo di fuoco” dei Lo Russo;

  • sentenza del Tribunale di Napoli del 16.5.2003, modificata parzialmente, sotto il profilo sanzionatorio, dalla  Corte  di  Appello  di  Napoli  con  sentenza  del  16.6.2004,  irrevocabile  il  13.4.2005,  che  ha condannato, tra gli altri, Licciardi Maria e il marito Teghemie Antonio, per avere partecipato, la prima in qualità di organizzatrice, all’associazione di tipo camorristico denominata “Alleanza di Secondigliano”, i cui capi storici venivano indicati in Bocchetti Gaetano, Lo Russo Giuseppe, Contini Edoardo, Mallardo Francesco e Licciardi Pietro. Questa decisione si poneva in rapporto di stretta continuità con le sentenze che  hanno ricostruito l’esistenza dell’Alleanza in termini di federazione di organizzazioni mafiose che, sorte autonomamente nel corso del tempo, all’esito di un “processo costituente”, si sono poi confederate. La creazione di un’alleanza talmente ampia da abbracciare diversi sodalizi – si legge sempre nella sentenza – nacque sia dall’esigenza di assicurare un più penetrante ed efficace controllo del territorio, che comunque rimaneva suddiviso nelle tradizionali aree di dominio di ciascuna delle compagini camorristiche federate (la zona del Vasto-Arenaccia per il clan Contini; Secondigliano- Masseria Cardone per i Licciardi; Secondigliano/Miano-Rione San Gaetano per i Lo Russo; San Pietro a Paterno  per  il  clan  Bocchetti),  sia  dalla  necessità  di  assicurare  una  reazione  comune  in  caso  di aggressioni di organizzazioni rivali, come dimostrato nello scontro con il clan Mazzarella. Per la prima volta, nel corpo della motivazione, si faceva esplicito riferimento a forme di investimento dei guadagni illeciti in attività imprenditoriali volte alla commercializzazione di beni di consumo (riproducenti marchi falsi)  quali  elettro-domestici,  borse  e  valige,  cui  era  interessata  la  Licciardi,  consapevole  che  la suddivisione del controllo del territorio tra i diversi sodalizi era funzionale anche allo svolgimento di attività economiche riconducibili ai clan;
    • sentenza  del  Tribunale  di  Napoli  del  30.10.2007,  attraverso  la  quale  venivano  condannati  Contini Edoardo e Liccardi Vincenzo, quali capi dell’organizzazione di tipo mafioso nota come “Alleanza di Secondigliano”.  Nelle  motivazioni  si  legge  che  l’organizzazione,  pur  mantenendo  lo  stesso  nome (Alleanza di Secondigliano) e pur operando (in parte) nello stesso territorio, costituisce, dal punto di vista   strutturale   e   finalistico,   un’associazione   criminale   diversa   da   quelle   precedentemente menzionate e per le quali erano già stati condannati i due, essendone diversi la maggior parte dei componenti;  del  tutto  nuovo  l’oggetto  del  pactum  sceleris  (che  non  comprende  solo  nuovi  delitti- scopo in materia di contraffazione e di vendita di beni con segni distintivi mendaci, ma una nuova e originale finalità: l’acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione o del controllo di attività economiche) e, quindi, la struttura organizzativa creata per darvi attuazione.

relazioni   interne   ed   esterne,   si   rinnovino   con   costanza   nel   tempo.   Sono   infatti diffusamente  rinvenibili  i  tratti  caratteristici,  vertenti  tanto  la  disciplina  interna  che l’esercizio  dell’azione  criminale,  di  tale  modello  organizzativo  quali,  solo  per  citare  i principali:

  • oltre all’ampia autonomia di cui gode nella gestione del territorio di riferimento ciascun gruppo camorristico, il controllo diffuso e pervasivo di attività economiche, anche con proiezioni  affaristiche  e  criminali  in  altre  regioni  italiane  e  verso  l’estero,  attuato mediante una direzione monopolistica e violenta (alla bisogna) di interi settori imprenditoriali e commerciali;
  • correlativamente, il diritto, da parte di ciascun gruppo, di conoscere preventivamente le attività  dell’organizzazione  nel  suo  complesso  ovvero  quelle  di  altre  formazioni  che, anche indirettamente, abbiano ripercussioni sulla propria area. Se ogni gruppo può pretendere che altri non esercitino alcuna ingerenza, anche solo potenziale, nella zona di pertinenza, del pari è tenuto a rispettare le regole imposte dall’organizzazione e a non compiere azioni in grado di comprometterne la sorte o incidere negativamente sulle relazioni, specie se esterne, della stessa;
  • compito del direttivo, rappresentato dalle figure apicali di ciascuna famiglia mafiosa, è quello di discutere e decidere su questioni di maggiore rilievo per la vita dell’organizzazione nel suo complesso, come nei casi della commissione di delitti dallo strategico e/o simbolico valore, per la realizzazione dei quali, se del caso, vige anche una sorta reciproco di principio di sussidiarietà;
  • tutela  dell’intera  struttura  associativa,  ricorrendo  pure  a  rimedi  corruttivi  di  apparati istituzionali.

RUOLI RICOPERTI DAI PRINCIPALI INDAGATI

In particolare, l’indagine e il provvedimento cautelare riconosce/dà conferma, i/dei ruoli:

  • Mallardo Francesco, Bosti Patrizio, Contini Eduardo, Aieta Anna, Aieta Rita, Aieta Maria e Licciardi Maria che rappresentano le figure apicali delle rispettive consorterie mafiose e  costituiscono  i  vertici  dell’organizzazione  camorristica  denominata  Alleanza  di Secondigliano;
  • Aieta Antonio, Bosti Ettore cl. 1979, Tolomelli Vincenzo cl. 1957, Rullo Nicola, Muscerino Antonio, emersi quali capi del clan Contini, nonché di Mallardo Francesco quale co- dirigente del clan Contini a partire dal 2014, al fine di consentire allo stesso sodalizio di continuare ad esercitare, in Napoli e su tutto il territorio nazionale, le attività tipiche di una consorteria mafiosa che si avvale della forza di intimidazione del vincolo;
  • dominanti, nelle principali aree di riferimento all’interno di una più vasta macro-area assoggetta  al  controllo  del  clan  Contini  e  secondo  una  ripartizione  di  massima,  del

gruppo capeggiato da Botta Salvatore cl. 50 nella zona del Rione Amicizia e di via Filippo Maria Briganti; di Aieta Antonio (con incarico anche di vertice del clan Contini), di Bosti Ettore cl. 79, di Tolomelli Vincenzo cl. 57 e di De Feo Alfredo le zone c.dd. dei Ponti Rossi, di San Giovanniello, di Piazza Ottocalli e del Buvero di Sant’Antonio e di Rullo Nicola e a Muscerino Antonio per la zona del Vasto-Arenaccia (Corso Garibaldi e aree limitrofe);

  • Bosti Patrizio e Contini Eduardo (a partire dal 2011 e fino al 2016), confermatisi essere vertici assoluti del clan Contini, con condotte di carattere organizzativo e direttivo che hanno continuato a esercitare nonostante la loro detenzione, grazie anche alla strumentalizzazione  dei  colloqui  carcerari  e  comunque  dei  rapporti  con  l’esterno garantiti da familiari e con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati, a vario livello a loro subordinati, promuovendo altresì specifici reati fine, sia tipici dell’azione della c.d. “ala criminale” del clan sia di quella imprenditoriale, cui impartivano direttive strategiche e fornivano ingenti provviste finanziarie derivanti da delitti;
  • Aieta  Maria,  Aieta  Rita,  Aieta  Anna,  rivelatesi  essere  figure  attuatrici  delle  direttive strategiche,  sia  per  i  rapporti  interni  ai  clan  confederati  che  per  le  relazioni  verso l’esterno, direttamente e consapevolmente coinvolte nella gestione degli affari criminali della consorteria mafiosa con poteri anche decisionali assunti d’intesa con i rispettivi coniugi, per veicolare verso l’esterno le istruzioni ricevute e con poteri anche autonomi soprattutto in relazione al controllo dell’usura e delle estorsioni e alla gestione degli introiti economici della confederazione mafiosa;
  • Botta Salvatore cl. 1950 (dal 2011 e anche durante la sua detenzione) e della moglie Di Munno Rosa (dal 2011 e anche durante la sua detenzione a partire dal 22.1.2014) figure apicali del clan Contini, comunque sottoposti alle direttive dei vertici, e in particolare di Bosti Patrizio e di Contini Eduardo, ma a loro volta con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati di livello a loro subordinato, organizzati in sottogruppi, dediti a delitti quali usura,  estorsione,  traffico  di  stupefacenti,  reinvestimento  economico-finanziario  in diversi  settori  degli  illeciti  profitti  del  clan,  anche  attraverso  fittizie  interposizioni.  In particolare, Di Munno Rosa, occupandosi insieme al marito Botta Salvatore, anche in periodi nei quali quest’ultimo era detenuto, di definire le linee strategiche del gruppo di loro riferimento con riguardo alla gestione delle risorse finanziarie accumulate dal clan e della raccolta dei crediti originati dall’usura, intratteneva altresì, a tale scopo, relazioni con  soggetti  che  operano  nel  settore  del  reinvestimento  dei  proventi  criminali, divenendo un imprescindibile punto di riferimento decisionale per le iniziative commerciali e imprenditoriali nell’area di riferimento del clan Contini;
  • Ambrosio Mario, quale partecipe dellassociazione, che si è occupato, insieme a Botta

Salvatore cl. 1982, altro partecipe e stretto collaboratore dello zio omonimo, e insieme ad affiliati di rango inferiore quali Santoriello Fortunato, Delle Donne Maurizio, Botta Nicola, di gestire attività imprenditoriali del settore del commercio di abbigliamento e accessori, occupandosi inoltre dell’intermediazione per le richieste estorsive avanzate dai capi del sodalizio verso altri commercianti e, comunque, adoperandosi per prestare ausilio  agli  stessi  dirigenti  del  clan  e  alle  loro  famiglie,  anche  con  riferimento  alla gestione di affari di varia natura;

  • Aieta Antonio, Ammendola Giuseppe, Di Carluccio Ciro emersi essere organizzatori e promotori  dell’associazione  mafiosa  insieme  a  Botta  Salvatore  cl.  1950,  per  aver concordato e condiviso con i vertici del clan e quali diretti referenti dei medesimi capi, le linee strategiche del sodalizio con riferimento alle più importanti attività e vicende criminali a esso riconducibili. Sono stati raccolti elementi probatori a loro carico in ordine la gestione del traffico di stupefacenti e della rete di spacciatori operanti nelle piazze di spaccio riferibili alla consorteria. E, ancora, si sono occupati di organizzare e programmare l’esecuzione di attività estorsive ai danni di operatori economici, nonché gestire la “cassa comune” del clan (mantenendone la contabilità), interessandosi, in tale veste,  del  pagamento  delle  mensilità  agli  affiliati  e  le  connesse  spese  di  giustizia, nonché di tenere a disposizione le somme destinate dall’organizzazione all’acquisto di stupefacenti e di programmare, organizzare e realizzare gli investimenti delle illecite provviste finanziarie del sodalizio in diversificate attività economiche e d’impresa;
  • Bosti Ettore cl. 1979, De Feo Alfredo, Tolomelli Vincenzo cl. 1957, emersi quali figure di

vertice in qualità di reggenti del sodalizio camorristico, atteso lo stato di detenzione dei capi Contini Eduardo, Bosti Patrizio, Botta Salvatore cl. 1950, e a partire dal gennaio 2014   anche   di   Aieta   Antonio,   co-dirigevano   l’organizzazione   programmando   e realizzando, attraverso i loro subalterni, e sulla base di direttive provenienti anche dai vertici, sebbene detenuti, una serie indeterminata di delitti, tra i quali, su tutti, il traffico di stupefacenti, le estorsioni e l’usura, gestendo anche la cassa comune del clan (con relativa  contabilità)  e  interessandosi,  sempre  nella  loro  veste,  di  versare  gli  stipendi degli affiliati e le connesse spese di giustizia, tenendo in considerazione un adeguato accantonamento di somme da destinare all’acquisto di droghe;

  • Esposito Gaetano, emerso quale concorrente esterno dell’intero cartello mafioso dell’Alleanza di Secondigliano, essendosi occupato stabilmente e consapevolmente di reinvestire una parte dei capitali illecitamente accumulati da più componenti di vertice della  storica  organizzazione  mafiosa  in  diverse  attività  economico-finanziarie,  tra  le quali investimenti immobiliari e commercio su vasta scala di ori e preziosi, restando a disposizione del sodalizio per qualsiasi attività e necessità economico-finanziaria

finalizzata  al  mantenimento  e  all’accrescimento  della  forza  economico-criminale dell’Alleanza, ai cui esponenti di rilievo costantemente si rapportava;

  • Esposito Luca, emerso quale partecipe dellorganizzazione impegnato, in particolare, in attività di usura e di reinvestimento dei capitali illeciti in attività economico-commerciali di vario tipo, tra le quali la compravendita di ori, preziosi e orologi di valore;
  • De Rosa Teodoro, poi divenuto collaboratore di giustizia, emerso come impegnato in attività fiduciarie  dei vertici del clan,  Bosti Patrizio e  Contini Eduardo,  per  i quali ha garantito anche il sostegno della loro latitanza, nonché nei confronti dei familiari, tra i quali le mogli dei capi Aieta Rita, Aieta Anna e Aieta Maria, alle quali offriva ogni ausilio per  la  ricezione,  conservazione  e  investimento  di  somme  di  provenienza  illecita, garantendo anche il finanziamento di attività illecite, il reinvestimento e l’occultamento della provenienza illecita dei profitti utilizzando le società proprietarie del bar e del ristorante site all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco, gestite dalla famiglia del De Rosa; altresì, ha fornito illeciti favori a sodali del clan Contini e di altri clan alleati (quali ricoveri indebiti, certificazioni mediche false, etc.) sfruttando la sua presenza e i suoi contatti  all’interno  dell’ospedale,  grazie  alla  disponibilità  del  personale  sanitario  o attraverso condotte di violenza e minaccia in danno del predetto personale;
  • Rullo Nicola, Cristiano Antonio, Muscerino Antonio, Folchetti Luigi che, quali esponenti

di rango del sodalizio camorristico, hanno preso parte alla direzione dell’organizzazione e hanno concorso sia nella programmazione che nella attuazione di più ambiti illeciti di interesse del sodalizio, tra i quali spiccano la commercializzazione d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e la realizzazione seriale di estorsioni e usura, non omettendo, in tal guisa, di coordinare le attività delittuose di sottogruppi di sodali posti alle dirette dipendenze dei reggenti;

  • Vittorio Raffaele e Vittorio Salvatore, emersi essere partecipi dellorganizzazione, con ruoli di stretta collaborazione con Contini Eduardo, Bosti Patrizio, Mallardo Francesco, Bosti Ettore  cl. 79  e  Tolomelli Vincenzo  cl. 57,  che  si sono  stabilmente  occupati di reinvestire ingenti capitali illecitamente accumulati dal clan Contini in Italia e all’estero, e in particolare nella Repubblica di Santo Domingo;
  • Calienno Antonio emerso essere uomo di assoluta fiducia dei capi, esattore per conto del clan e deputato alla cura dei rapporti di vertici e affiliati con il collegio difensivo del clan Contini;
  • Barra  Felice  che,  quale  partecipe  dell’associazione,  si  è  occupato  di  garantire  il rifornimento di sostanze stupefacenti destinante ad alimentare le piazze di pertinenza del clan Contini e di gestire i rapporti con altri capi, quali quelli tra Mallardo Francesco (quando questi era agli arresti domiciliari in Sulmona) con i restanti affiliati, e tra il clan

Contini  e  Di  Martino  Luigi,  elemento  apicale  del  clan  Cesarano  di  Castellammare  di Stabia;

  • Cerbone Pietro, quale partecipe, che h ricoperto lincarico di guardaspalle e uomo di fiducia di Rullo Nicola, al quale ha assicurato anche il collegamento con Aieta Antonio e Bosti Ettore durante la sua latitanza (del Rullo);
  • Botta  Lucia,  Botta  Nicola,  De  Rosa  Giuseppe  cl.  1970,  Santoriello  Fortunato,  Lieto Domenico, Delle Donne Maurizio, emersi essere co-organizzatori di alcune attività del sodalizio sotto le direttive strategiche e il controllo di Botta Salvatore cl. 1950 e di Di Munno Rosa (i quali provvedevano anche al finanziamento degli investimenti e partecipavano alla ripartizione degli utili) impegnati, in particolare, nelle attività di usura e di riciclaggio dei proventi illeciti in diversi settori merceologici, tra i quali spicca quello dell’abbigliamento, gestendo altresì lo smercio di prodotti con marchi contraffatti e di quelli commercializzati attraverso reti c.dd. “parallele”, inoltre, si adoperavano nel reimpiego di denaro e beni di illecita provenienza, nonché nel recupero violento dei crediti, derivanti tanto dall’attività di usura;
  • Alfano Alessio, Barbella Giulio, Botta Ciro, Botta Vincenzo, Candido Giovanni, Candido Lamberto,  Capozzo  Rosario,  De  Falco  Guglielmo,  De  Rosa  Gennaro,  Finizio  Nunzio, Giordano  Giuseppe,  Marano  Mario,  Riva  Marco,  emersi,  in  qualità  di  partecipi,  in particolare Candido Giovanni e Candido Lamberto, gestori di attività commerciali (tra cui l’autorimessa “Mazzini” attiva nella vendita di auto usate) attraverso le quali il clan, in  particolare  il  gruppo  Botta,  riciclava  o  comunque  reimpiegava  parte  dei  capitali illecitamente accumulati;
  • Alfano  Alessio,  Barbella  Giulio,  Capozzo  Rosario,  De  Rosa  Gennaro,  Finizio  Nunzio, Giordano Giuseppe, Marano Mario emersi essere quali addetti alla gestione di pratiche usuraie e al recupero dei crediti derivanti da queste derivanti, nonché al re-impiego dei relativi ricavi illeciti;
  • Botta Ciro, Botta Vincenzo, Botta Giovanni, emersi anche nellambito di una specifica associazione per delinquere organicamente inserita nella compagine mafiosa Contini, della cui forza mafiosa si sono avvalsi e alla quale sono devoluti i conseguenti proventi, dediti alla consumazione di truffe ai danni di istituti assicurativi mediante la simulazione di sinistri stradali;
  • Corrado Ferruccio, Corrado Gennaro, Capozzoli Vincenzo e Pelliccio Gennaro, emersi essere, quali partecipi, responsabili del settore dellapprovvigionamento, a favore del sodalizio, di armi da fuoco e di detenere e custodire le stesse per conto del clan;
  • Corrado  Gennaro,  Caso  Pietro,  Comitato  Salvatore  e  Spina  Giuseppe,  anche  loro partecipi dell’organizzazione, emersi poiché si sono occupati di detenere ingenti somme

di  danaro  dell’organizzazione  destinate  al  fabbisogno  giornaliero  della  stessa  con riferimento all’acquisto di stupefacente, tenendo la relativa contabilità. In particolare, Spina, titolare di una salumeria, tutelava l’organizzazione ponendo i locali della propria attività commerciale a disposizione dei sodali per il deposito e la custodia di denaro o di telefonici cellulari;

  • Percope Salvatore, quale partecipe dellorganizzazione, con il compito di distribuire, su esplicito incarico di Tolomelli Vincenzo cl. 1957, le c.dd. “mesate” ai vari affiliati del clan Contini nonché d ‘intermediario tra Tolomelli Vincenzo e i restanti gregari;
  • Arduino  Giuseppe,  Cerbone  Pietro,  Del  Mondo  Gennaro,  Falanga  Umberto,  Murano Roberto,  emersi  quali  partecipanti  alle  diverse  attività  illecite  del  sodalizio,  avendo operato,  in  particolare,  nel  quartiere  dell’Arenaccia  alle  dirette  dipendenze  di  Rullo Nicola (specie il Falanga, con il compito di rifornire dello stupefacente nelle piazze di spaccio);
  • Boselli Alessandro, Capozzoli Vincenzo, Esposito Giovanni, Merolla Salvatore, Percope Salvatore, Petrone Salvatore, Poggi Luciano, Tolomelli Vincenzo cl. 1987 e Tolomelli Giuseppe, dediti alla conduzione di estorsioni, reati in materia di armi e stupefacenti, operando  nelle  zone  della  Ferrovia  e  del  Borgo  Sant’Antonio,  nei  quartieri  Vasto- Arenaccia e San Carlo Arena (in particolare il Percope con il compito di autista e aiutante di Tolomelli Vincenzo cl. 57);
  • Marsiglia Giuseppe, Cristiano Tommaso e Cristiano Fabio, quali partecipi   con il alle diverse attività illecite del sodalizio, in particolare per i due Cristiano attraverso il traffico illecito di tabacchi lavorati esteri e, per il solo Cristiano Fabio attraverso le estorsioni, e per tutti con il compito di coadiuvare Cristiano Antonio.

IL RUOLO DI MALLARDO FRANCESCO NEL PERIODO DI LIBERTÀ

Mallardo Francesco, scarcerato per motivi di salute il 26 marzo 2014 su provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Milano e obbligato a risiedere in regime di detenzione domiciliare fuori regione, a Sulmona (AQ), anche a seguito dei numerosi arresti eseguiti il 22 gennaio del 2014 su provvedimento del GIP di Napoli a seguito di indagini della locale DDA, che avevano notevolmente indebolito il clan Contini, ha nei mesi successivi in più occasioni ricevuto presso la propria abitazione abruzzese i richiamati Esposito Gaetano (titolare delle gioiellerie di Corso Meridionale), Bosti Ettore cl. 1979 e Tolomelli Vincenzo. Gli argomenti trattati nel corso degli incontri hanno consentito di dimostrare come il decano del sodalizio mafioso giuglianese appena tornato in libertà, in qualità di esponente di vertice dell’Alleanza di Secondigliano, avesse assunto la direzione anche del clan Contini. Le  acquisizioni  investigative,  nel  porre  in  risalto  come  il  Mallardo  fosse  puntualmente aggiornato su tutte le attività illecite dell’ampio storico cartello mafioso, con particolare

riguardo  a  quelle  di  carattere  economico,  hanno  offerto  una  tangibile  dimostrazione dell’attuale  esistenza  e  operatività  dell’organizzazione  dell’Alleanza.  Tra  gli  episodi  di maggior interesse va segnalato quello in cui egli, per il tramite di Bosti e Tolomelli, avviava subito mirate operazioni di recupero di grosse somme di denaro precedentemente investite attraverso i fratelli Vittorio Salvatore e Raffaele, emigrati a Santo Domingo. In particolare,  forniva  indicazioni  al  Bosti  e  al  Tolomelli  di  inviare  nella  capitale  della Repubblica dominicana un fidato anziano sodale, poi deceduto, per ricevere la restituzione di una somma pari a circa 1 milione e 800mila euro.

Altra vicenda di interesse è quella relativa alla figura del commerciante di preziosi Esposito Gaetano, invero già emerso in una indagine della Procura di Napoli nel dicembre 2016 con il suo arresto insieme alla moglie del Mallardo per riciclaggio, e con il sequestro delle società orafe ad egli riferibili. Egli infatti rendicontava a Mallardo su tutti gli investimenti effettuati, sia con la propria società che con l’intermediazione di Di Carluccio Ciro e dei fratelli Vittorio, e non solo nell’interesse del Mallardo, ma anche di altri esponenti di vertice del clan Contini. In sostanza, le gioiellerie gestite da Esposito Gaetano, sono risultate essere un nevralgico centro di investimenti di ingenti somme di denaro provenienti  dai  Mallardo  e  dai  Contini,  con  le  modalità  chiaramente  evidenziate  dallo stesso Esposito nel corso di più dialoghi oggetto di captazione, di cui se ne riporta, per al sua significatività, quello intercorso con il capo clan giuglianese nel mese di ottobre del 2014.

Mallardo Francesco è stato nuovamente arrestato per associazione mafiosa il 16

novembre 2015 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale DDA.

Va poi segnalata altra conversazione intrattenuta da Mallardo Francesco con le cognate Aieta Maria e Rita il 13 ottobre 2014, dalla quale oltre a emergere con chiarezza il ruolo di vertice  ancora  ricoperto  dai  rispettivi  mariti  detenuti  Contini  Edoardo  e  Bosti  Patrizio, venivano poste in evidenza le relazioni intercorrenti con altre organizzazioni operanti nella provincia  come  il  clan  Cesarano,  il  quale,  sebbene  fiaccato  delle  indagini,  appariva strettamente   legato   all’“Alleanza   di   Secondigliano”.   In   effetti,   dalla   conversazione, emergeva come gli interlocutori discutessero della suddivisione di quote, percepite anche da Tolomelli Vincenzo e Grasso Antonio, derivanti dall’incasso di un’estorsione perpetrata ai danni di un soggetto ignoto. Si trattava di una vicenda di chiara matrice estorsiva gestita da  Mallardo  Francesco.  Infatti,  una  persona,  rimasta  non  identificata,  socio  di  Contini Michele,  cugino  di  Edoardo,  a  seguito  dell’esecuzione  di  alcuni  lavori  edili  non  meglio individuati, avrebbe offerto una busta di soldi quale tangente estorsiva in segno di rispetto, portando i «saluti» dello stesso Michele. Il Mallardo raccontava alle cognate di aver

appurato che di tale vicenda era del tutto all’oscuro Contini Michele e, dopo aver fatto alcune verifiche su questa persona, avrebbe dato ordine di accettare la somma di denaro (30mila euro) successivamente divisa tra «quelli di Castellammare» (i Cesarano), i cognati Contini Edoardo e Bosti Patrizio, Tolomelli Vincenzo, De Feo Alfredo e il fratello Mallardo Felice. La stessa Aieta Maria commentava di aver ricevuto da Tolomelli la quota di 5 mila euro  per  mano  di  tale  Piero,  sebbene  ne  ignorasse  la  provenienza.  Interessante  poi  il riferimento  del  Mallardo  a  «quelli  di  Castellamare»,  atteso  che,  come  riscontrato  dalle indagini, egli aveva incontrato a Sulmona Di Martino Luigi detto Gigino ‘o Profeta, reggente del clan Cesarano, operante anche in Castellamare di Stabia.

EPISODI PSIGNIFICATIVI DI PRETESE ESTORSIVE

L’attività  di  indagine  ha  permesso  di  documentare  una  continua,  pressante  e  capillare azione estorsiva condotta da esponenti del clan Contini sul territorio di riferimento, con l’individuazione di oltre 40 casi di ingiuste pretese economiche ai danni di attività commerciali e imprese. In tale ambito, per natura delle vittime e contesto nel quale sono maturate le richieste, appaiono di rilievo alcune vicende, rappresentative della pervasività e della  pericolosità  dell’organizzazione.  In  un  caso,  che  peraltro  riflette  anche  l’illecita incidenza  del  sodalizio  sulla  struttura  ospedaliera  adiacente  al  Rione  Amicizia,  nota roccaforte del clan, infatti, Botta Nicola detto ‘o Nano (figlio di Botta Salvatore), attraverso reiterati  atti  di  violenza  e  minaccia,  costringeva  i  dirigenti  di  una  delle  ditte  di  pulizie operante  presso  l’ospedale  San  Giovanni  Bosco  e  alle  cui  dipendenze  Botta  era formalmente assunto, ma per la quale si rifiutava, con atteggiamento mafioso, di prestare qualsivoglia attività, a rinunciare ad emettere nei suoi confronti un provvedimento di allontanamento (c.d. “licenziamento per giustificato motivo soggettivo”, previsto dall’art. 3

L.  604/1996),  iniziativa  che  era  per  essere  intrapresa  a  seguito  dei  lunghi,  ripetuti  e

immotivati periodi di assenza del Botta dal suo impiego.

In altra vicenda, invece, Aieta Antonio reggente all’epoca del clan Contini disponeva ai suoi sodali l’esecuzione di un’estorsione ai danni di un ambulatorio per emodialisi della zona di Capodichino, ritenuta una fiorente attività commerciale e tra le poche della zona a non pagare il “pizzo”.

Altra vicenda di particolare interesse relativa a dinamiche estorsive del clan è quella relativa imposizione della vendita di una cappella gentilizia, sita al “Nuovissimo” cimitero di Poggioreale. In particolare, Botta Salvatore cl. 50, sul finire del 2011, per il tramite di Ambrosio   Mario,   richiedeva   a   tale   Vinciguerra   Nicola,   la   restituzione   di   somme illecitamente  pretese  dal  sodalizio  nei  confronti  dei  figli  di  quest’ultimo,  Massimo  e Antonio che, a seguito di una alluvione che anni prima deteriorò la merce presente nel

deposito  di  abbigliamento  di  cui  erano  titolari  sito  al  Ponte  di  Casanova,  si  trovarono obbligati a chiedere una dilazione dei pagamenti ai loro fornitori, i quali erano tutti riferibili al  clan  Contini.  A  tale  scopo,  sempre  il  Botta,  mediante  i  suoi  accoliti,  costringeva Vinciguerra dapprima a cedergli la disponibilità di una cappella gentilizia e poi, a causa di alcune criticità relative alla transazione, gli imponeva la vendita in favore di tale Arcucci Tommaso per la cifra di 110mila euro, denaro direttamente incassato da Ambrosio Mario, per la successiva devoluzione a Totore Botta. Ma vi è di più. Infatti, Botta Salvatore cl. 82, mediante minaccia consistita nella prospettazione di appartenenza al sodalizio camorristico e dello spessore criminale dello zio Salvatore cl. 50, costringeva l’Arcucci ad acquistare la cappella di proprietà del Vinciguerra, versando il corrispettivo, di cui 20mila euro nell’immediatezza, non al cedente, ma, come detto, agli emissari del clan Contini, ossia ad Ambrosio Mario,  per  cifra di 110 mila euro,  in parte in contanti e in parte in assegni. Una doppia estorsione: da un lato la costrizione alla vendita della cappella gentilizia e dall’altro l’imposizione all’acquisito da parte di un terzo. Ma non basta. Infatti, le indagini hanno permesso di documentare come il Vinciguerra,  dopo la vendita della cappella, fosse stato comunque costretto a versare mensilmente somme non dovute a Tolomelli Vincenzo e Percope Salvatore.

L’attività di estorsione è stata poi anche condotta quale rimedio dopo aver prestato danaro

a  tassi  usurari  oscillanti  tra  l’80%  e  il  240%  annuo  a  imprenditori  e  professionisti  in difficoltà, che non erano riusciti a rispettare i tempi del piano di rientro dal debito. È il caso, ad esempio, dell’imprenditore Barone Antonio, titolare di una ditta operante nel settore degli  infissi,  che  più  volte,  era  stato  minacciato  verbalmente  e  con  la  promessa  di aggressioni fisiche, in particolare dagli indagati Botta Angelo detto Angiulill ‘o barbiere, De Rosa Giuseppe detto Peppe ‘o Buffone dal figlio De Rosa Gennaro e da Barbella Giulio. Indicativa al riguardo, era la conversazione telefonica tra Botta Angelo e la vittima Barone Antonio nel corso della quale il primo, avuto conferma che la restituzione del denaro preteso  sarebbe  stata  solo  parziale  (350  euro,  a  fronte  di  500)  gli  chiedeva,  con  tono minaccioso, dove si trovasse, lasciandogli intendere che lo avrebbe raggiunto.

Le estorsioni, come spesso documentato dalle indagini, pongono il conseguimento anche di scopi ulteriori a quelli del mero ingiusto arricchimento con conseguenti fenomeni di ridistribuzione ai sodali di risorse illecitamente accumulate. Nel caso che a breve verrà illustrato,  attraverso  l’indiretta  gestione  delle  autorizzazioni  e  l’imposizione  a  titolo estorsivo del pagamento di una quota settimanale da parte dei venditori ambulanti operanti nel mercato del Buvero di Sant’Antonio, nonché dalle bancarelle abusive allestite per  la  vendita  dei  tabacchi  lavorati  esteri,  sottende  anche  finalità  di  controllo,  di “segnatura”,  del  territorio,  per  la  conservazione  dell’egemonia  criminale  su  tali  aree.  Il

contenuto di alcune conversazioni ha infatti permesso di chiarire come un affiliato al clan Contini,  tale  Mendozzi  Salvatore,  avesse  il  compito  di  gestire  il  mercato  rionale  che quotidianamente  viene  allestito  nel  Borgo  Sant’Antonio.  È  stato  possibile  documentare come il Mendozzi, per conto del sodalizio, raccogliesse il “pizzo” che ogni commerciante del mercatino era tenuto a versare, così come da egli stesso candidamente ammesso nel corso della conversazione ambientale con altro sodale. Invero, i commercianti che operano nel mercato del Borgo di Sant’Antonio hanno costituito il consorzio denominato A.S.P.E.M.I. – Associazione Sviluppo Piccole E Medie Imprese con sede in Napoli al Centro Direzionale. Il presidente del consiglio direttivo è risultato essere tale Gueli Francesco (destinatario  di  misura  cautelare  agli  arresti  domiciliari)  e,  in  più  di  una  circostanza, Mendozzi si è dichiarato «coordinatore» dell’A.S.P.E.M.I.. Eloquente, sul punto, è l’intervista rilasciata all’emittente locale Road TV Italia l’8 aprile 2014. In quella circostanza veniva intervistato,  oltre  a  Gueli  Francesco  quale  presidente  del  consorzio  dei  commercianti, anche Mendozzi Salvatore che, nell’affrontare le problematiche connesse al decoro e alla pulizia di piazza Giovanni Leone, nei pressi dell’ex Pretura, si autodefiniva «coordinatore dei commercianti di piazza Leone per conto dell’ASPEMI», sebbene non avesse alcuna carica formale. A ciò va aggiunto che dall’impianto tecnico sono state intercettate numerose conversazioni telefoniche intercorse tra Mendozzi Salvatore e Gueli Francesco, dalle quali è emerso che Mendozzi aveva il controllo assoluto dell’associazione, arrivando persino a influenzare le scelte di competenza del Gueli e decidendo, in piena autonomia, quali postazioni assegnare all’interno del mercatino rionale del Borgo ai commercianti.

Che ogni bancarella adibita alla vendita di prodotti leciti oppure illeciti come i tabacchi di

contrabbando versasse una quota estorsiva pari a 10 euro al giorno, ha trovato conferma nel corso di una conversazione ambientale in cui a parlare era il reggente del clan dell’epoca, Aieta Antonio.

A  tali  eventi,  se  ne  aggiungono  altri,  peraltro  ricorrenti,  di  controllo  dell’allestimento  di luminarie natalizie nei quartieri del Vasto e nella zona c.d. di San Giovanniello, accompagnato  dall’imposizione  del  versamento  di  una  quota  in  denaro  camuffata  da contributo per la relativa installazione, da cui però erano esentate, per ordine del capo clan, le gioiellerie Esposito.

Nel particolare e redditizio settore, veniva anche individuato, quale potenziale obiettivo a cui richiedere il pizzo, un centro di fisioterapia e riabilitazione motoria ovvero il “Centro Pro Juventute Minerva S.r.l.” di via Ponti Rossi. In effetti, la conversazione intercettata il 12.9.2013 e intercorsa tra gli indagati Grasso Antonio e Pomatico Mario, faceva emergere con chiarezza la pressante attività estorsiva posta in essere da parte dell’organizzazione, condotta con minuziosa attenzione, evitando il rischio che alcune attività commerciali

rimanessero esenti dal pagamento della quota.

Che Aieta Antonio e Grasso Antonio fossero i mandanti di una serie di asfissianti iniziative estorsive attuate da un gruppo di emissari capeggiato da Pomatico Mario ai danni di imprese edili impegnate anche in lavori per privati di modesta entità, emergeva candidamente nella vicenda del settembre 2013 relativa alla richiesta di denaro (2500 euro) a una ditta incaricata di eseguire una ristrutturazione di una abitazione nel Buvero. In quell’occasione  il  titolare  dell’impresa  denunciò  la  ingiusta  richiesta  e  i  responsabili, identificati in Pomatico Mario, Patierno Michele ed Esposito Giovanni vennero arrestati di lì a qualche giorno. Le contestuali attività di intercettazione hanno però consentito di ricondurre l’estorsione alle strategie del clan, ovvero di una raccolta “a tappeto”, diffusa su tutto il territorio di riferimento, e i cui registi erano, appunto, Aieta Antonio e Grasso Antonio.  Fonte  di  guadagno  certo  tale  forma  di  vessazione,  tanto  che  il  sodalizio prevedeva proprio una figura dedicata all’individuazione di cantieri nel territorio di pertinenza, il c.d. filatore, incarnato da Fiorillo Gennaro. Ed è stato proprio lui a condurre una estorsione ai danni di una ditta impegnata in lavori di ristrutturazione di un appartamento posto nel quartiere Arenaccia, salvo poi fermarsi quando giunto sul posto, nel contattare l’imprenditore, notava la presenza di altre 4 persone che riferivano di essere del clan Ferrara di Villaricca, così come anche sostenuto dall’imprenditore.

L’approccio  di  Fiorillo  era  funzionale  al  passaggio  successivo  da  parte  di  Tolomelli

Vincenzo per procedere alla ricezione della somma. Infatti, le richieste alle imprese edili venivano avanzate secondo criteri ben delineati: la percentuale dovuta al clan di zona per gli appalti era del 4-5 % del valore intero del capitolato. E Fiorillo, deputato ad avanzare la pretesa estorsiva quantificandola, in funzione del ruolo sul territorio da lui ricoperto per conto del sodalizio, era a ben a conoscenza degli importi relativi alle commesse pubbliche o private dalle quali pretendere l’ingiusta prestazione.

IL CONTRABBANDO DI T.L.E.

Le  indagini  hanno  permesso  di  raccogliere  elementi  in  ordine  a  un’associazione, capeggiata da Ammendola Giuseppe, Tolomelli Vincenzo e Cristiano Antonio, avente lo scopo  di importare  da Ungheria e  Ucraina tabacchi lavorati esteri,  per  lo  più di marca Classic,  Chesterfield  e  Jim  Ling,  i  cui  proventi  confluivano  nelle  casse  del  clan.  In particolare,  sono  emersi  i  canali  d’importazione  con  cui  l’organizzazione  riforniva  i rivenditori al dettaglio all’interno del Buvero. Le intercettazioni hanno inoltre svelato come i carichi venissero trasportati all’interno di doppi fondi ricavati in autovetture di media cilindrata con targhe austriache.

Tra le fonti di prova, di maggior pregio sono risultate le conversazioni dalle quali emergeva come, i componenti del sodalizio fossero in attesa di un grosso carico di sigarette che era

andato perso. Gli approfondimenti consentivano di appurare come nel medesimo periodo e in particolare il 22 marzo 2012 la Guardia di Finanza di Udine nell’ambito di autonome indagini procedeva al sequestro di 14 tonnellate di sigarette di contrabbando provenienti dall’Ucraina.

LA DISPONIBILITÀ DI ARMI

Le  investigazioni  hanno  inoltre  consentito  di  documentare  il  possesso,  da  parte  del sodalizio, di un cospicuo arsenale, costituito per lo più da armi corte come pistole, alcune provviste anche di silenziatori, ma anche da mitragliette, fucili a pompa e kalashnikov AK 47 nonché il controllo del territorio ricorrendo a “sentinelle” armate del clan. è il caso, ad esempio di Grasso Emanuele, figlio di Grasso Antonio detto ‘o Cuozz (poi deceduto), che in una conversazione con la moglie le confidava di essere stato impegnato nella vigilanza del territorio avendo a disposizione una pistola, rischiando così di incorrere in un arresto se le «guardie» lo avessero fermato. In effetti, in altro dialogo, il padre, Antonio, chiedeva al figlio Emanuele quali cautele adottasse nel riporre la pistola che aveva nella sua disponibilità. Egli infatti si preoccupava se il figlio avesse inavvertitamente toccato l’arma senza usare dei guanti, lasciando così le proprie impronte digitali.

In tale ambito, di rilievo appariva la conversazione del 19 gennaio 2013 in cui il reggente del clan dell’epoca Aieta Antonio (cognato di  Mallardo Francesco, Contini Edoardo e Bosti Patrizio)   delegava  il   sodale   Tolomelli   Vincenzo   ad  acquistare,   evidentemente   per aumentare la potenza di fuoco dell’organizzazione, un fucile semiautomatico a presa di gas modello Spas con il manico anatomico e dotato anche di lanciagranate. Nel corso della conversazione, Tolomelli asseriva di aver già comperato un’arma  simile sebbene di un modello e calibro diverso.

INGERENZE NELLOSPEDALE SAN GIOVANNI BOSCO

Le indagini hanno fatto luce su influenze e interessi del clan Contini all’interno dell’ospedale  San  Giovanni  Bosco  di  Napoli,  attraverso  l’opera  della  famiglia  di  Botta Salvatore cl. 1950.

È emerso infatti un collaudato schema sinallagmatico tra clan e pezzi dello Stato-apparato traslato su un piano di reciprocità anche tra esponenti del clan e la popolazione. Ed ecco che  si  è  nel  tempo  consolidato  un  illecito  meccanismo  in  cui  la  camorra  dei  Contini, attraverso figure intranee tanto all’organizzazione quanto alla struttura nosocomiale con un ruolo di filtro e/o cerniera, da un lato è in grado di poter soddisfare ogni tipo di esigenza del cittadino connessa a motivi di salute, magari anche fondati ma non meno rilevanti di tanti altri, superando con una certa celerità, per dirne solo alcune, lunghe liste d’attesa o impasse  burocratiche,  e,  dall’altro,  per  compensazione,  esaudire  richieste  avanzate  dal personale sanitario. Si tratta di un do ut des in cui da parte del clan è assicurata la

protezione, anche fisica, a coloro che ne fanno richiesta, ricevendone in cambio la messa a disposizione in favore di membri del sodalizio o a persone a questi vicini o conosciuti, di strutture  e  professionalità,  accessibili  secondo  canali  privilegiati  e  non  istituzionali, certamente non consentiti alla collettività generalmente considerata.

Di estremo interesse, in tal senso, sono apparse alcune vicende che hanno cristallizzato il potere  esercitato  dai  Botta  nel  nosocomio,  confermando  le  dichiarazioni  di  alcuni collaboratori di giustizia. A questo ambito, è ascrivibile un episodio documentato nel febbraio 2013 attraverso una serie di conversazioni telefoniche vertenti una richiesta di aiuto proveniente da un medico il quale, mostrando un certa confidenza nei rapporti, contattava Botta Vincenzo e, con tono chiaramente allarmato, gli chiedeva di raggiungerlo

«…subito!  Ma  subito!  Ma  non  venire  solo  tu.  Hai  capito?»,  senza  dilungarsi  sul  luogo dell’intervento  che,  era  presumibile,  si  trattasse  del  vicino  (a  Botta  Vincenzo  e  al  suo esercizio commerciale) ospedale San Giovanni Bosco (sito in questa via F. M. Briganti), presso il quale il medico lavorava. L’intervento di Botta Vincenzo risultava pressoché immediato, tant’è che dopo soli pochi minuti, così come raccomandato dal professionista

«…ma non venire solo tu. Hai capito?» questi contattava lo zio Botta Angelo (fratello del boss detenuto Salvatore) veicolandogli la richiesta di soccorso, attinente a un’aggressione che il medico rischiava di subire da due soggetti sconosciuti,  per  ragioni non chiarite. Botta  Angelo,  non  potendo  assicurare  la  sua  presenza  nell’immediatezza,  suggeriva  al nipote di accertarsi sulla provenienza dei due che stavano minacciando il sanitario, in vista della loro punizione. L’intervento dei Botta è poi risultato essere stato risolutorio, come intuibile dal tenore di una successiva conversazione dalla quale si comprendeva che il loro intervento si fosse concluso favorevolmente «Tutto a posto!», risultato conseguito grazie all’invio di emissari dello stesso Botta Vincenzo.

E, ancora, dalle indagini è emerso come il clan Contini godesse di trattamenti privilegiati e preferenziali all’interno della citata struttura ospedaliera. Infatti, da alcuni episodi richiamati in conversazioni intercettate, è stato possibile desumere come Botta Angelo e il nipote Botta Vincenzo riuscissero ad ottenere trattamenti di favore per alcuni appartenenti al loro circuito relazionale, come nel caso di Botta Raffaella, figlia del boss detenuto Salvatore  cl.  1950,  che  chiedeva  allo  zio  Angelo  di  fissarle  un  appuntamento  con  uno specialista, specificando che il giorno a lei più congeniale era il giovedì e bypassando le ordinarie procedure di prenotazione e pagamento della prestazione. Ed è sempre Botta Angelo,  il  quale,  inoltre,  è  risultato  dipendente  della  società  E.P.M.  S.r.l.,  società appaltatrice dei servizi di pulizia presso quel nosocomio, a fissare l’appuntamento per una risonanza magnetica di una donna vicina al gruppo Botta. A questi episodi si aggiunga addirittura la possibilità per gli appartenenti al clan Contini di accedere anche

all’acquisizione di farmaci presso l’ospedale. Le indagini, grazie anche al contributo dei collaboratori  di  giustizia,  hanno  consentito  di  porre  in  risalto  come  il  clan  Contini, attraverso entrature e relazioni negli anni create e regolate dai Botta anche con il ricorso alla violenza, e in particolare da Botta Salvatore cl. 50, che era stato un portantino presso quel presidio ospedaliero, sia stato in grado di:

  • gestire ovvero intervenire nei processi decisionali delle attività sindacali che potevano essere su posizioni opposte e ostacolare le governance della dirigenza sanitaria;
  • imporre le assunzioni di affiliati da parte delle ditte operanti all’interno del nosocomio per giustificare la loro presenza in loco, tesa invero ad avere pieno controllo di tutte le attività che ivi si svolgono oppure influire sulle assunzioni per favorire quelle di persone vicine al sodalizio;
  • riuscire ad avere il compiacente o forzato sostegno da parte dei sanitari per medicare feriti da arma da fuoco del clan senza che questi ricevessero le cure presso il pronto soccorso;
  • riuscire ad avere, in alcuni casi mediante la complicità di medici o in altri attraverso metodi costrittivi con il ricorso a minaccia e violenza, falsi certificati per agevolare propri   affiliati   in   relazione   a   vicissitudini   penali   che   li   riguardano   così   come, all’occorrenza, stilare referti medici falsi finalizzati a organizzare frodi assicurative;
  • lucrare  anche  sui  decessi  in  ospedale,  facendo  leva  sulla  momentanea  fragilità  dei congiunti  connessa  al  desiderio  di  riavere  in  fretta  la  salma  per  l’estremo  saluto; operazione che si realizzava dapprima mediante la falsificazione di documenti che anziché  attestare  la  morte  del  paziente  ne  autorizzava  le  dimissioni  e,  in  seguito, disporne, senza autorizzazione, il trasporto a casa a bordo di ambulanza, versando “a nero” fino a 500 euro per l’intero servizio.

GLI INVESTIMENTI DEL CLAN CONTINI E I SETTORI IMPRENDITORIALI DI INTERESSE

Le indagini sono state rivolte anche in direzione dei profili patrimoniali del sodalizio, ovvero in ordine agli investimenti, sull’attività di riciclaggio e verso fittizie intestazioni riconducibili al clan.

Tra queste sono emerse alcune società di gestione di garage privati adibiti a parcheggio di veicoli nel centro cittadino. È stato infatti possibile documentare un vero e proprio monopolio  camorristico  nella  gestione  dei  parcheggi  e  dei  garage.  Emblematica,  al riguardo, è il contenuto della conversazione intercorsa durante un colloquio carcerario tra Botta Salvatore, la moglie Di Munno Rosa, la figlia Botta Lucia e il figlio Botta Vincenzo. Dal dialogo si comprendeva come l’anziano boss consigliasse ai congiunti di preservare le somme di denaro provenienti da almeno 4 garage per il pagamento delle spese legali.

Sono poi emersi altri settori di interesse del sodalizio per ingenti investimenti. In

particolare, quello:

  • delle   agenzie   di   scommesse,   per   il   quale   sono   stati   raccolti   elementi   circa l’investimento da parte di Bosti Ettore nell’apertura di un’agenzia ad insegna Iziplay, con l’individuazione dei relativi fittizi intestatari;
  • della  oreficeria,  ove,  come  evidenziato,  è  stato  dimostrato  l’investimento  del  clan Contini e del clan Mallardo nelle gioiellerie Esposito di Napoli – Corso Meridionale (del valore di circa 5 milioni di euro), nonché la partecipazione all’associazione da parte del titolare Esposito Gaetano;
  • della ristorazione, ove sono emersi interessi del clan nella grande struttura ricettizia denominata “Agriturismo Amici del Bosco”, sita in Napoli via Ponti Rossi, nonché la partecipazione all’associazione da parte del titolare Volpe Francesco Maria, il quale, tra l’altro, poneva la struttura a disposizione dell’organizzazione e degli esponenti di vertice per l’organizzazione di cerimonie, di riunioni riservate e di incontri di natura privata.

Altro settore commerciale che si è caratterizzato per grossi investimenti da parte del sodalizio   camorristico   è    quello   del   confezionamento   di   capi   di   abbigliamento, successivamente immessi nel mercato. In particolare, l’indagine ha permesso di far luce, tra gli altri, sui ruoli di Ambrosio Mario, Attardo Gaetano, Botta Salvatore cl. 1982, Botta Angelo, Botta Giovanni, Botta Lucia, Botta Nicola, De Rosa Giuseppe cl. 1970, Santoriello Fortunato,   Lieto   Domenico,   Delle   Donne   Maurizio,   partecipi   con   funzione   di   co- organizzatori di alcune attività del sodalizio, sotto le direttive strategiche e il controllo di Botta Salvatore cl. 1950 e della moglie Di Munno Rosa, i quali provvedevano anche al finanziamento delle varie iniziative nell’attività e partecipavano alla ripartizione degli utili, impegnati, in particolare, in operazioni usuraie e di riciclaggio degli introiti illeciti in diversi settori  merceologici,  tra  i  quali  soprattutto,  come  detto,  quello  dell’abbigliamento, gestendo sia prodotti con marchi contraffatti che quelli commercializzati attraverso reti c.dd. “parallele” ovvero mediante negozianti compiacenti integrati nel sistema, come ad esempio Imperatore Antonella e Capece Giuseppe, titolari di negozi di abbigliamento nel quartiere Arenaccia. In effetti, le attività di riciclaggio e reimpiego delle risorse del clan nel settore   dell’abbigliamento   sono   risultate   essere   uno   dei   core   business   dei   clan dell’Alleanza, che ha consentito di alimentare quello che viene definito il “mercato del parallelo”,  ossia  una  filiera  di  distribuzione  di  capi  d’abbigliamento  sottratta  ai  canali ufficiali di importanti sartorie italiane, imposti, in alcuni casi, ai commercianti del settore sfruttando la forza di intimidazione del sodalizio. In tale ambito, alcuni imprenditori, sono divenute anche vittime, o perché richiedenti prestiti a tassi usuari o per non essere più riusciti a rispettare le tempistiche di restituzione dei profitti derivanti dagli iniziali investimenti dell’organizzazione. Rappresentativa al riguardo è risultata la vicenda che ha

visto  protagonista  la  citata  Imperatore  Antonella  e  la  sua  dipendente  Olga  Dimitrova, documentata  attraverso  alcune  conversazioni  telefoniche,  dalle  quali  emergeva  come Botta  Salvatore  cl.  1982  e  Ambrosio  Mario,  si  fossero  recati  presso  il  negozio  della Imperatore per riscuotere la somma di 300 euro e, non avendola trovata, avevano percosso  la  commessa  straniera.  L’ignobile  azione  dei  due  induceva  la  Imperatore  a protestare a telefono nei confronti di Ambrosio Mario che si giustificava dicendo di aver agito per conto di terzi.

ALTRI AMBITI CRIMINALI DI INTERESSE

Le indagini in direzione di alcuni esponenti del clan Contini hanno consentito di documentare  l’esistenza  di  un’associazione  finalizzata  alla  perpetrazione  di  rapine,  in particolar modo in Emilia Romagna, ai danni di possessori di orologi di marca Rolex o similari,  i  cui  proventi  confluivano  nelle  casse  del  sodalizio.  In  tale  ambito,  sono  stati individuati i componenti di una banda specializzata che con cadenza settimanale raggiungeva le città di Parma e Reggio Emilia per eseguire, armati di pistola e a bordo di scooter, rapine di orologi preziosi ai danni di cittadini e automobilisti. Indicativa nel senso è risultata una telefonata nel corso della quale due appartenenti al gruppo di rapina Rolex, in contatto tra loro, avevano appena commesso una rapina a Parma. Nell’immediatezza, a seguito  della  segnalazione  da  parte  del  personale  del  ROS,  le  locali  Forze  dell’ordine intervenivano tempestivamente, arrestando in flagranza gli autori.

Nel corso delle attività è stata poi documentata l’esistenza di un associazione finalizzata alla perpetrazione di furti in tutto il territorio nazionale ai danni di imprese e aziende di vari settori,  i  cui  proventi,  anche  in  questo  caso,  poi  confluivano  nelle  casse  del  clan.  Lo schema organizzativo dell’associazione prevedeva un dettagliato programma criminale e operava secondo convenute e ben rodate linee d’azione, quali l’acquisizione a noleggio di veicoli  utilizzati  per  raggiungere  l’obiettivo  da  derubare,  l’approvvigionamento  di  mezzi tecnici di comunicazione difficilmente controllabili con le consuete forme di intercettazione delle comunicazioni (come gli apparati radio ricetrasmittenti), la precisa suddivisione di ruoli, la predisposizione di basi logistiche e lo sfruttamento di accoliti già inseriti  nelle  città  del  Centro-Nord  ove  si  commettono  i  delitti.  Anche  l’acquisizione  di strumenti elettronici idonei all’apertura di cancelli o porte munite di cancello comandato a distanza (duplicatori di radiocomandi per l’apertura a distanza di cancello) rientrava tra gli accorgimenti della banda. Rientrava, altresì, nell’attività di apprestamento degli “strumenti del mestiere” anche l’acquisizione di centraline elettroniche per veicoli. Infatti, secondo una tipica metodologia utilizzata in questo particolare settore delittuoso, gli autori di furti e rapine, al fine di accendere il motore dei veicoli da asportare, ne sostituivano la centralina per eludere in tal modo i sistemi antifurto preinstallati dalle case costruttrici (si pensi, per

esempio, all’immobilizzatore o “stacca motore” dei veicoli attualmente in circolazione, il cui motore è avviabile solo se associato a un determinato codice inserito nella chiave d’avviamento). In effetti, l’associazione criminale privilegiava quali obiettivi gli autocarri o furgoni  parcheggiati  all’interno  delle  varie  attività  commerciali  o  industriali,  già  caricati della  merce  da  trasportare  come  pneumatici,  materiale  di  cancelleria,  prodotti  di cosmetica, da rivendere sul mercato parallelo.

Ulteriore e grave episodio è risultato quello posto in essere da Cristiano Antonio, Esposito Giovanni, Percope Salvatore, Poggi Luciano, Riccio Bruno e Tolomelli Vincenzo cl. 1957 i quali, dopo diversi appostamenti presso un’abitazione ubicata a San Giorgio a Cremano, si introducevano all’interno armati e travisati con casacche recanti la scritta Polizia e, dopo aver legato e imbavagliato i componenti della famiglia occupante, sotto la minaccia di una pistola,  intimavano  loro  la  consegna  del  denaro  presente  nell’abitazione.  Constatata l’assenza di denaro contante, gli autori fuggivano, lasciando immobilizzate le vittime. Le intercettazioni permettevano di individuare gli autori, cristallizzando le fasi organizzative ed esecutive del brutale delitto.

Le indagini hanno poi permesso di far luce su un altro settore di interesse per gli appetiti della cosca del centro di Napoli dell’Alleanza, ovvero quello delle truffe alle assicurazioni degli autoveicoli. In particolare, sono stati raccolti indizi circa l’esistenza e l’operatività di uno  strutturato  gruppo  di  soggetti  che,  particolarmente  esperti  di  procedure  vertenti  i risarcimenti assicurativi per sinistri stradali, ricorrendo pure a simulazioni di incidenti tra veicoli con feriti, riuscivano a ricevere cospicui rimborsi non dovuti dalle case assicurative, larga parte dei quali, anche in questa circostanza, confluivano nelle casse del clan Contini. In tale ambito è stato possibile documentare lo strategico ruolo ricoperto dall’avvocato civilista Cecere Giuseppina, per la quale il GIP ha ravvisato gravi indizi di colpevolezza, ma non le esigenze cautelari.

E,  ancora,  le  indagini sul fronte  dei rapporti tra il clan  Contini con  altre  organizzazioni criminali hanno fatto emergere esistenza e operatività di un’associazione finalizzata alla fabbricazione e commercializzazione in territorio sia nazionale che transnazionale – e più specificatamente in Olanda – di banconote, di vario taglio, contraffatte, i cui protagonisti sono  stati  identificati  in  Acanfora Salvatore,  Barra Felice,  Crupi  Vincenzo  (componente della cosca di ‘ndrangheta dei Commisso di Siderno). Nella circostanza, gli indagati con linguaggio  cifrato,  si  riferivano  alle  banconote  oggetto  dell’importazione,  simulando  un trasporto di «muletti di colore blu da 20».

LE CAPACITÀ DI PENETRAZIONE DEL CLAN CONTINI IN APPARATI ISTITUZIONALI

Nel corso delle attività di indagine è stato possibile documentare come l’organizzazione, attraverso il gruppo facente capo a un esponente di spicco del clan Contini, Muscerino

Antonio,  abbia  manifestato  capacità  di  anticipare  l’azione  delle  Agenzie  di  contrasto, prevenendo le iniziative investigative di Magistratura e Forze dell’ordine. Tale azione è stata rafforzata anche dalla fitta rete di fiancheggiatori creatasi attorno ad affiliati, tra cui Panico Concetta, dipendente del Ministero della Giustizia impiegata presso l’Ufficio GIP del Tribunale di Napoli. In effetti, da alcune conversazioni intercettate è stato possibile comprendere  come  il  sodale  Pengue  Antonio,  nel  gennaio  2014,  fosse  venuto  a conoscenza,  attraverso  una  sua  parente,  la  Panico,  dell’esistenza  di  una  ordinanza  di custodia cautelare emessa nei confronti di 90 esponenti del clan Contini. Nell’occasione riceveva rassicurazioni sul fatto che nell’elenco degli indagati non vi erano né Muscerino Antonio  né  gli  uomini  del  suo  gruppo  criminale.  Infatti,  altro  componente  del  gruppo, Coppola Carlo, con tono compiaciuto, ne discuteva telefonicamente con Pengue Antonio, esaltando il fatto che la notizia era stata molto più precisa rispetto alle volte precedenti, perché in questa circostanza era stato indicato addirittura il numero esatto dei destinatari del provvedimento restrittivo. Pengue, nel vantarsi, affermava che la persona a cui si era rivolto appena tre giorni prima dell’esecuzione delle misure gli aveva garantito che loro (Muscerino e i sodali del suo sottogruppo) non erano tra le persone da arrestare. Gli approfondimenti  svolti  hanno  consentito  di  accertare  come  la  Panico,  utilizzando abusivamente  userid  e  password  assegnate,  il  15.1.2014  aveva,  in  effetti,  eseguito  un accesso,  attraverso  la  modalità  “visualizzazione”,  al  fascicolo  di  cui  al  p.p.  17982/05, nell’ambito del quale era stata emessa una ordinanza di custodia cautelare a carico di 90 persone,  accusate  di  essere  affiliate  al  clan  Contini  e  la  cui  esecuzione  avveniva  il successivo 22 gennaio.

FATTI DI SANGUE EMERSI DALLE INDAGINI

Nel  corso  delle  indagini,   anche  attraverso  il  contributo  delle  dichiarazioni  di  più collaboratori di giustizia, è stato possibile far luce sui seguenti episodi delittuosi:

  • il  ruolo  di  Botta  Salvatore  nel  tentato  omicidio  di  De  Rosa  Salvatore,  avvenuto  il 14.4.2011 a Napoli, in cui veniva attinto da vari colpi di pistola, teso a inviare un cruento messaggio mafioso al fratello De Rosa Giuseppe (affiliato al clan Contini e già condannato per partecipazione all’organizzazione mafiosa, poi divenuto collaboratore di giustizia) gestore di fatto insieme ai genitori del bar e del ristorante presente all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco, oggetto in quel periodo, attesi i contrasti sorti, di pesanti pretese economiche indebite da parte del Botta;
  • il ruolo di Poggi Luciano, Tolomelli Giuseppe e Tolomelli Vincenzo cl. 1957 nel tentato omicidio di Boselli Alessandro, avvenuto a Napoli il 19 luglio 2011 quando sono stati attinti da alcuni colpi di pistola alle gambe, poiché innanzi a testimoni aveva mancato di rispetto al proprio referente di vertice Tolomelli Vincenzo;
  • il ruolo di esecutore materiale ricoperto da Bosti Ettore nel tentato omicidio di Urzini Graziano, avvenuto a Napoli il 12 febbraio 2014, quando è stato attinto da più colpi di pistola  alle  gambe,  da  inquadrare  nell’ambito  della  gestione  delle  piazze  di  spaccio controllate dal clan Contini.

BENI SOTTRATTI AL GRUPPO CAMORRISTICO INVESTIGATO

Nel corso della medesima operazione, la Guardia di Finanza ha eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso sempre dal GIP del Tribunale di Napoli, avente ad oggetto beni immobili e mobili, aziende, rapporti bancari e quote societarie per un valore complessivo di oltre 130 milioni di euro, riconducibili direttamente e/o indirettamente ai soggetti destinatari delle misure cautelari fra cui spiccano, in particolare, gli esponenti apicali del clan.

L’ingente  complesso  patrimoniale  è  stato  individuato  a  seguito  di  articolate  indagini economico-finanziarie svolte dal GICO del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli in collabora-zione e con il supporto tecnico-operativo del Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) di Roma, nei confronti dei soggetti indagati e dei rispettivi nuclei familiari.

Le  suddette  investigazioni,  eseguite  su  un  totale  di  825  persone  fisiche  e  99  persone giuridiche,  hanno  consentito  di  ricostruire  le  attività  economiche  e  gli  investimenti patrimoniali attraverso cui le diverse componenti del clan erano riuscite nel tempo a reimpiegare  gli  ingenti  guadagni  derivanti  dalle  attività  criminali,  così  sostenendo  e alimentando le esigenze finanziarie, imprenditoriali e logistiche dell’associazione.

In  particolare,  l’entità,  la  tipologia  e  la  capillare  distribuzione  sul  territorio  dei  beni sottoposti a sequestro conferma ancora una volta l’elevata capacità del sodalizio di occultare e trasformare la ricchezza illecita prodotta, secondo una precisa strategia di espansione economica basata sulla diversificazione degli investimenti, sull’occupazione di vasti settori commerciali e sull’utilizzo delle attività economiche per finalità di riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti.

Il provvedimento di sequestro, infatti, oltre a comprendere 152 unità immobiliari, 255.000 mq. di terreni, 194 beni mobili registrati (di cui 101 autoveicoli, 92 motoveicoli e 1 natante), 67  rapporti  finanziari,  oro,  preziosi,  diamanti  e  orologi  di  lusso  per  circa  3.000.000  €, colpisce ben 47 aziende individuali e 52 quote societarie relative a 42 società, distribuite non solo in Campania ma anche in altre regioni, operanti in vari settori economici fra cui, principalmente,  quelli  del  commercio  all’ingrosso  ed  al  dettaglio  di  generi  alimentari, abbigliamento  e  calzature,  della  ristorazione,  dell’edilizia,  della  rivendita  di  generi  di monopoli, del commercio di oro e preziosi e della distribuzione stradale di carburanti.

Tabella riepilogativa delle posizioni degli indagati

213   posizioni vagliate dal GIP 159   ricorrono gravi indizi di colpevolezza 87   ricorrono   gravi indizi associazio ne mafiosa   (Alleanza e clan Contini) 83 appartenenti associazione mafiosa (7 Alleanza3 e 79 clan Contini) 82   custodie in carcere          89   custodie in carcere
1   arresti domiciliari
  4   concorrenti esterni associazione mafiosa (4 clan Contini) 2   custodie in carcere
1   arresti domiciliari   36   arresti domiciliari
1   divieto di dimora
  72   ricorrono   gravi indizi per reati fine 33 no esigenze cautelari   //
17   privi pregiudizi penali 16   contestazioni datate nel tempo       1   divieto di dimora Regione Campania
  39   ricorrono esigenze cautelari 5   custodie in carcere
34   arrestati domiciliari

Napoli, 26 giugno 2019

3     Per Mallardo Francesco, Aieta Anna e Aieta Rita ricorre la doppia contestazione associativa (Alleanza e clan Contini).

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