NAPOLI, COLPO MORTALE ALLA “ALLEANZA DI SECONDIGLIANO” E CLAN CONTINI
OPERAZIONE 26 GIUGNO 2019 CONTRO
L’ALLENZA DI “SECONDIGLIANO” E CLAN CONTINI. ESECUZIONE DI UNA MISURA CAUTELARE NEI CONFRONTI DI 126 INDAGATI
DOCUMENTO IN VERSIONE INTEGRALE -UFFICIALE
PREMESSA
I provvedimenti cautelari eseguiti nella mattinata odierna (ordinanza di applicazione di misura cautelare nr. 1718/11 RGNR – 37959/15 RGGIP – 2016/19 ROCC) emessi dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli, sono il frutto di approfondite e prolungate investigazioni condotte, nel periodo ricompreso tra il 2012 e il 2016, nei confronti di numerosi indagati, ritenuti affiliati all’organizzazione camorristica nota come Alleanza di Secondigliano, con particolare riguardo al clan Contini, sodalizio mafioso del centro del capoluogo partenopeo ad essa federata unitamente al clan Mallardo di Giugliano in Campania e al clan Licciardi di Napoli Secondigliano.
Le indagini sono state condotte dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli, con apporti investigativi forniti dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli, dai Centri Operativi della DIA di Napoli e Roma e dal GICO del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli e il contributo di Interpol.
Le posizioni vagliate dal GIP sono state 213. Tra queste, il giudice della cautela ha ritenuto sussistere gravi indizi di colpevolezza nei confronti di 159 indagati, ravvisando esigenze cautelari per 126 soggetti, di cui 89 in carcere, 36 agli arresti domiciliari e un divieto di dimora nella regione Campania. Verso i 213 indagati, sono 132 le contestazioni mosse dalla Procura, di cui 2 associazioni di tipo mafioso, per le quali sono stati riconosciuti appartenenti 87 esponenti di vari livelli, 7 associazioni per delinquere, di cui 1 dedita a furti
di ingente valore, 1 dedita a truffe ad istituti assicurativi RCA, 1 dedita a traffico, spaccio e detenzione
di sostanze stupefacenti, 2
finalizzate al contrabbando di tabacchi
lavorati esteri (di cui solo una riconosciuta dal GIP), 1 dedita al traffico di banconote false e 1 dedita a rapine di orologi Rolex. Per quest’ultime il GIP ha ritenuto non ricorrere un quadro indiziario sufficiente a configurare l’esistenza di una struttura associativa. E
ancora, documentate 37 richieste estorsive, 25 vicende usurarie a
cui sono connesse altre 12 pretese estorsive ai danni
di vittime insolventi, 11 sono invece le contestazioni
di reimpiego o riciclaggio di utilità economiche, più altre ipotesi delittuose come tentati
omicidi, intestazioni fittizie e altro.1
La presente indagine, nell’ambito di una prolungata e mirata strategia tesa alla disarticolazione della storica struttura mafiosa metropolitana che ormai da oltre un trentennio, attraverso le articolazioni territoriali riferibili alle tre citate consorterie (Contini, Mallardo e Licciardi) presidia ampi spazi dell’economia legale e controlla vasti settori di traffici illeciti, si pone in linea di continuità con altre che sono già approdate a significativi riconoscimenti giudiziari. Tra queste vanno senz’altro annoverate, richiamando solo quelle più recenti:
- ordinanza applicativa di misure cautelari personali nr. 17982/05 RGNR – 15112/06 RGGIP – 652/12 ROCC emessa, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 12.10.2013 nei confronti di 92 esponenti della camorra (90 in carcere e 2 misure interdittive) appartenenti, con ruoli diversi, tra vertici, partecipi e concorrenti esterni, al clan Contini e al clan Mazzarella. L’indagine, condotta da Carabinieri, Polizia di Stato e DIA, oltre a fornire un aggiornato spaccato su gerarchie interne, dinamiche e relazioni, interne ed esterne, dei due sodalizi di Napoli, consentì di documentare, in particolare, l’esistenza, nella Capitale, di una struttura criminale operante nella gestione, con modalità illecite e tramite prestanome, di una holding di imprese commerciali impegnate prevalentemente nel settore della ristorazione, riconducibile ai fratelli Antonio, Luigi e Salvatore Righi, realizzata originariamente con fondi provento di delitto e utilizzata per svolgere attività di reimpiego di risorse di provenienza illecita per conto del clan Contini, di cui i predetti Righi sono risultati essere concorrenti esterni. Inoltre, è stata accertata l’operatività di altro gruppo imprenditoriale con interessi economici in Campania e in altre regioni, riferibile ai fratelli Di Carluccio Ciro, Antonio e Gerardo, esponenti del clan Contini. Infatti, furono sottoposte a sequestro numerose attività dei più disparati settori, dai locali di intrattenimento quali bar, pizzerie e ristoranti, a distributori di carburati e aree di servizio, nonché beni mobili e immobili per un ingente valore. Il rito abbreviato e il relativo appello si sono conclusi, rispettivamente, il 22.7.2015 e il 15.6.2017, con la condanna di 31 imputati in primo grado e di 29 appellanti, rappresentanti tutta l’area criminale e i vertici del clan Contini. È intervenuta anche sentenza di primo grado rito ordinario con la condanna di 69 imputati, tra i quali spiccano i nomi di Di Carluccio Ciro, riconosciuto essere al vertice anche dell’ala criminale oltre che a capo di quella economica del sodalizio, e a cui poi vanno collegate le condanne dei numerosi riciclatori e intestatari fittizi del clan, oltre che la condanna di Botta Salvatore cl. 50 e di Aieta Rita anche loro figure apicali dell’organizzazione.
1 Per maggiori dettagli, si confronti la tabella riepilogativa in fondo.
Condannati anche i riciclatori o intestatari fittizi del gruppo Righi;
- ordinanza di applicazione di misura cautelare nr. 1718/11 RGNR – 37959/15 RGGIP – 49/15 ROCC emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli l’8.2.2016, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, nei confronti di 35 appartenenti al clan Contini, responsabili, a vario titolo, di delitti di traffico, detenzione e spaccio di stupefacenti. Questa attività, in particolare, ha costituito una prima parte della complessiva manovra investigativa condotta dal ROS e dal Nucleo Investigativo di Napoli, con la collaborazione della Guardia Civil e della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, in direzione del citato sodalizio camorristico, le cui emergenze sono state riprese anche nell’o-dierna misura. Il relativo procedimento si è concluso con la condanna, in primo (17.3.2017) e secondo grado (9.4.2018), di tutti gli imputati (32). Già in quell’ambito, era stato dimostrato:
. la gestione e il controllo delle piazze di spaccio, anche con l’utilizzo di “vedette armate” nel centro della città nelle aree orbitanti intorno alla zona c.d. della Ferrovia da parte del gruppo diretto da Aieta Antonio e del sottogruppo di Bosti Ettore e Tolomelli Vincenzo;
. l’operatività di canali di approvvigionamento dello stupefacente, in particolare del tipo cocaina e marjuana dall’Olanda;
. l’esistenza di una “cassa comune” nella quale confluivano i proventi dell’attività di spaccio, utilizzati in seguito per l’acquisto di ulteriori partite di stupefacenti, per il sostentamento delle famiglie degli associati detenuti, nonché per il pagamento delle mesate agli affiliati in libertà;
. l’organicità al sodalizio di Barra Felice, imprenditore nel settore dell’importazione e della vendita di fiori, quale collegamento tra il clan Contini (nella persona del reggente pro tempore Aieta Antonio) ed elementi di primo piano della cosca di ‘ndrangheta dei Commisso di Siderno (RC) e, in particolare, con Crupi Vincenzo, attualmente detenuto, titolare di alcune società d’import & export di fiori in Italia e in Olanda;
.
lo stretto rapporto tra Bosti Ettore e i fratelli Romano, Raffaele e Salvatore, napoletani dimoranti in Spagna e titolari della pizzeria “Totò e Peppino” di Madrid, ritenuti dalla Polizia spagnola coinvolti in un traffico
di stupefacenti dal Sud America. In particolare, nel settembre del 2013 la Polizia francese, presso lo scalo aeroportuale di Parigi, procedeva al sequestro di circa 1300 kg. di cocaina occultata all’interno di alcune valige imbarcate su di un volo di
linea, proveniente di Caracas. A seguito di tale sequestro, Romano Raffaele si dirigeva in Colombia ove faceva perdere le sue tracce, poiché vittima probabilmente di “lupara bianca”.
L’attività d’indagine oggetto dell’odierno provvedimento, supportata soprattutto da attività di natura tecnica, da servizi di osservazione e pedinamento e dalle riscontrate e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ha permesso di documentare l’operatività del clan Contini nel centro di Napoli e in particolare nei quartieri Vasto e Arenaccia e nelle c.dd. zone di San Giovanniello, di Borgo di Sant’Antonio Abate e dei Ponti Rossi, nonché il ruolo di vertice ricoperto e la perdurante operatività, nonostante lo stato di detenzione di alcuni di essi, degli storici capi come Contini Eduardo, Bosti Patrizio, Mallardo Francesco, Licciardi Maria e delle mogli dei primi tre Aieta Maria, Aieta Rita e Aieta Anna (sorelle tra loro). Le investigazioni, in linea anche con i più recenti esiti giudiziari di cui si è dato conto, hanno quindi restituito piena e decisa conferma sull’attualità dell’esistenza e dell’operatività della Alleanza di Secondigliano2,
2 La c.d. “Alleanza di Secondigliano” è un cartello criminale sorto sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso e costituito dal clan Mallardo di Giugliano in Campania, dal clan Contini dei quartieri Vasto e Arenaccia di Napoli e dal clan Licciardi originario della Masseria Cardone, rione popolare tra Miano e Secondigliano di Napoli e attualmente diretto da Licciardi Maria, sorella del defunto (1994) capo storico Licciardi Gennaro alias ‘a Scigna. Il consolidamento di questa ampia aggregazione mafiosa è stato favorito dai legami di parentela tra i vertici del clan Mallardo e Contini, nonché da intese criminali tra lo stesso Mallardo Francesco e Licciardi Gennaro.
Esistenza, struttura e operatività dell’Alleanza sono state fissate da più provvedimenti giudiziari definitivi:
- sentenza del Tribunale di Napoli nr. 4515 del 17.11.1994, irrevocabile il 21.10.1996, con la quale sono stati condannati per associazione di tipo mafioso, tra gli
altri, Licciardi Vincenzo, fratello dello storico leader Gennaro. Tale decisione, partendo
proprio dalla ricostruzione
delle vicende
che portarono all’affermazione del clan Licciardi, delineò, per la prima volta, l’esistenza di una vera e propria alleanza tra il gruppo criminoso
che tradizionalmente operava
in Secondigliano (clan Licciardi) e quelli facenti rispettivamente capo a Contini Eduardo e ai fratelli Mallardo, Francesco e Giuseppe, sottolineandone l’incontrastata preminenza («non
si fa un illecito se non è
d’accordo Secondigliano», secondo la formula di uno dei dichiaranti all’epoca esaminati);
- sentenza del Tribunale di Napoli del 18.12.1997, divenuta irrevocabile l’1.10.2002 (CONTINI Eduardo+32), che ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione camorristica capeggiata da Contini Edoardo e dal cognato Bosti Patrizio, ma, nel corpo della motivazione, si dà atto dell’esistenza di una aggregazione criminale tra le famiglie Licciardi, Contini e Mallardo, egemone in gran parte dell’area metropolitana con estensione anche nell’area nord (almeno a partire dal 1990, epoca cui fanno riferimento i fatti contestati) nel settore delle estorsioni, della distribuzione delle sostanze stupefacenti e delle scommesse clandestine;
- sentenza del Tribunale di Napoli del 3.10.2001, irrevocabile il 17.5.2005, con la quale sono stati tra gli altri condannati Lo Russo Mario in quanto aveva ricoperto, unitamente al fratello Giuseppe (anni 1998-
99) ruolo apicale nell’ambito dell’“Alleanza di Secondigliano” che, anche sotto la loro costante direzione,
ha visto crescere
nel tempo in misura notevole
la propria capacità
di intimidazione, fino a
diventare una delle più importanti e pericolose associazioni operanti sul territorio campano. Questa sentenza è da considerare di assoluto rilievo tra i provvedimenti giudiziari, non
solo perché contempla tra i partecipi
all’ampia organizzazione
esponenti di primo piano del clan Lo Russo
di Miano, ma soprattutto perché è la prima pronuncia
in cui si ricorre alla definizione del cartello camorristico con l’espressione «Alleanza di Secondigliano». Anche per i giudici, il sodalizio, nato negli anni 1984/1985, quale evoluzione della “Nuova Mafia Campana”, cartello criminale organizzato, tra gli altri, da Licciardi Gennaro, in contrapposizione alla “Nuova Camorra Organizzata” di Raffaele Cutolo, presentava caratteristiche già evidenziate nelle decisioni in precedenza citate:
«Il materiale probatorio acquisito non lascia dubbi circa la esistenza e la attuale
operatività di una super-organizzazione fungente da cartello criminale egemonizzato, ossia da raggruppamento di famiglie camorristiche, insediate in diverse zone di Secondigliano e della provincia
napoletana ed in particolare di quelle facenti
capo alla famiglia Licciardi, Bocchetti, Contini, Mallardo di Giugliano e Lo Russo». Tale organizzazione criminale, quale che sia la sua concreta
denominazione, opera nel territorio metropolitano in posizione di assoluta
supremazia. L’Alleanza, attraverso un sistema di confederazione delle diverse
consorterie mafiose indicate, persegue il costante obiettivo di eliminare i clan rivali o comunque di estendere la sua egemonia su ogni quartiere cittadino; agisce in tutti i tradizionali settori
criminali di interesse per associazioni mafiose (estorsioni, traffico di stupefacenti, gestione del gioco d’azzardo, contrabbando
rappresentativa di una confederazione tra organizzazioni camorriste storicamente operanti nella città e nella provincia di Napoli, e su tutto il territorio nazionale, fondata e diretta dai vertici delle famiglie mafiose Mallardo, Bosti-Contini e Licciardi. Una imponente quanto radicata struttura camorristica che, nel perpetuare un modello organizzativo ereditato da quella che negli anni Ottanta venne promossa e capeggiata dal noto Carmine Alfieri, è riuscita ad esercitare, come a Caserta il clan dei Casalesi che di quella stessa origine è connotata, un controllo ultratrentennale vastissimo non solo in termini territoriali, avendo nel tempo abbracciato – stringendo accordi più o meno duraturi, o raggiungendo intese su specifici settori economici, con altri gruppi criminali – la quasi totalità dell’area metropolitana partenopea, ma anche in tutti quei settori legali dell’imprenditoria, del commercio e degli investimenti che si sono dimostrati essere i più remunerativi. Sono proprio le vicende ricostruite nel provvedimento cautelare odierno ad offrire un efficace quadro d’attualità su come aspetti fondamentali per la vita dell’Alleanza, già oggetto di statuizioni giudiziarie, quali la gestione dei processi decisionali nei comparti economici di pertinenza, le modalità di intervento in caso di grandi eventi di interesse o la cura di
di sigarette e altro); dispone di una “cassa comune”, divisa tra i gruppi facenti parte del cartello, alla quale affluiscono parte dei proventi delle attività delittuose, versati a titolo di “tributo” dai diversi sodalizi camorristici operanti nel territorio metropolitano, poi suddivisi in quote tra i vari clan federati; ha stretto alleanze strategiche con altre aggregazioni (come i Giuliano di Forcella, oggetto, per il vero, di rapporti altalenanti, contrassegnati, cioè , da fasi di scontro e di collaborazione, anche se il gruppo di Forcella si è sempre trovato in una oggettiva condizione di inferiorità rispetto all’Alleanza); è entrata in aspro conflitto con clan quali i Mazzarella e i Misso, e ha subito anche un grave scontro interno, dovuto alla scissione di Sabatino Ettore, capo del “gruppo di fuoco” dei Lo Russo;
- sentenza del Tribunale di Napoli del 16.5.2003, modificata parzialmente, sotto il profilo sanzionatorio, dalla Corte di
Appello di Napoli con sentenza del 16.6.2004, irrevocabile
il
13.4.2005, che ha condannato, tra gli altri, Licciardi Maria e il marito Teghemie Antonio, per avere partecipato, la prima in qualità di organizzatrice, all’associazione di tipo camorristico denominata “Alleanza di Secondigliano”, i cui capi storici venivano indicati in Bocchetti Gaetano, Lo Russo Giuseppe, Contini Edoardo, Mallardo Francesco
e Licciardi Pietro. Questa decisione si poneva in rapporto di stretta
continuità con le sentenze che hanno ricostruito l’esistenza dell’Alleanza in termini di federazione di organizzazioni mafiose che, sorte autonomamente nel corso del tempo, all’esito di un “processo costituente”, si sono poi confederate. La creazione di un’alleanza talmente
ampia da abbracciare diversi sodalizi – si legge sempre nella sentenza – nacque sia dall’esigenza di assicurare un più penetrante ed efficace controllo del territorio, che
comunque rimaneva suddiviso nelle tradizionali aree di dominio di ciascuna
delle compagini camorristiche federate (la zona del Vasto-Arenaccia per il clan
Contini; Secondigliano- Masseria Cardone per i Licciardi; Secondigliano/Miano-Rione San Gaetano per i Lo Russo; San Pietro a Paterno per il clan Bocchetti), sia dalla necessità di assicurare una reazione
comune in caso di aggressioni di organizzazioni rivali,
come dimostrato nello scontro con il clan Mazzarella. Per la prima volta, nel corpo della
motivazione, si faceva
esplicito riferimento a forme di investimento dei guadagni
illeciti in attività imprenditoriali volte
alla commercializzazione di beni di consumo (riproducenti marchi falsi) quali elettro-domestici, borse e valige, cui era interessata la Licciardi, consapevole che la suddivisione del controllo del territorio tra i diversi
sodalizi era funzionale anche allo svolgimento di attività economiche riconducibili ai clan;
- sentenza del Tribunale di Napoli del 30.10.2007, attraverso la quale venivano condannati Contini Edoardo e Liccardi Vincenzo, quali capi dell’organizzazione di tipo mafioso nota come “Alleanza di Secondigliano”. Nelle motivazioni si legge che l’organizzazione, pur mantenendo lo stesso nome (Alleanza di Secondigliano) e pur operando (in parte) nello stesso territorio, costituisce, dal punto di vista strutturale e finalistico, un’associazione criminale diversa da quelle precedentemente menzionate e per le quali erano già stati condannati i due, essendone diversi la maggior parte dei componenti; del tutto nuovo l’oggetto del pactum sceleris (che non comprende solo nuovi delitti- scopo in materia di contraffazione e di vendita di beni con segni distintivi mendaci, ma una nuova e originale finalità: l’acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione o del controllo di attività economiche) e, quindi, la struttura organizzativa creata per darvi attuazione.
relazioni interne ed esterne, si rinnovino con costanza nel tempo. Sono infatti diffusamente rinvenibili i tratti caratteristici, vertenti tanto la disciplina interna che l’esercizio dell’azione criminale, di tale modello organizzativo quali, solo per citare i principali:
- oltre all’ampia autonomia di cui gode nella gestione del territorio di riferimento ciascun gruppo camorristico, il controllo diffuso e pervasivo di attività economiche, anche con proiezioni affaristiche e criminali in altre regioni italiane e verso l’estero, attuato mediante una direzione monopolistica e violenta (alla bisogna) di interi settori imprenditoriali e commerciali;
- correlativamente, il diritto, da parte di ciascun gruppo, di conoscere preventivamente le attività dell’organizzazione nel suo complesso ovvero quelle di altre formazioni che, anche indirettamente, abbiano ripercussioni sulla propria area. Se ogni gruppo può pretendere che altri non esercitino alcuna ingerenza, anche solo potenziale, nella zona di pertinenza, del pari è tenuto a rispettare le regole imposte dall’organizzazione e a non compiere azioni in grado di comprometterne la sorte o incidere negativamente sulle relazioni, specie se esterne, della stessa;
- compito del direttivo, rappresentato dalle figure apicali di ciascuna famiglia mafiosa, è quello di discutere e decidere su questioni di maggiore rilievo per la vita dell’organizzazione nel suo complesso, come nei casi della commissione di delitti dallo strategico e/o simbolico valore, per la realizzazione dei quali, se del caso, vige anche una sorta reciproco di principio di sussidiarietà;
- tutela dell’intera struttura associativa, ricorrendo pure a rimedi corruttivi di apparati istituzionali.
RUOLI RICOPERTI DAI PRINCIPALI INDAGATI
In particolare, l’indagine e il provvedimento cautelare riconosce/dà conferma, i/dei ruoli:
- Mallardo Francesco, Bosti Patrizio, Contini Eduardo, Aieta Anna, Aieta Rita, Aieta Maria e Licciardi Maria che rappresentano le figure apicali delle rispettive consorterie mafiose e costituiscono i vertici dell’organizzazione camorristica denominata Alleanza di Secondigliano;
- Aieta Antonio, Bosti Ettore cl. 1979, Tolomelli Vincenzo cl. 1957, Rullo Nicola, Muscerino Antonio, emersi quali capi del clan Contini, nonché di Mallardo Francesco quale co- dirigente del clan Contini a partire dal 2014, al fine di consentire allo stesso sodalizio di continuare ad esercitare, in Napoli e su tutto il territorio nazionale, le attività tipiche di una consorteria mafiosa che si avvale della forza di intimidazione del vincolo;
- dominanti, nelle principali aree di riferimento all’interno di una più vasta macro-area assoggetta al controllo del clan Contini e secondo una ripartizione di massima, del
gruppo capeggiato da Botta Salvatore cl. 50 nella zona del Rione Amicizia e di via Filippo Maria Briganti; di Aieta Antonio (con incarico anche di vertice del clan Contini), di Bosti Ettore cl. 79, di Tolomelli Vincenzo cl. 57 e di De Feo Alfredo le zone c.dd. dei Ponti Rossi, di San Giovanniello, di Piazza Ottocalli e del Buvero di Sant’Antonio e di Rullo Nicola e a Muscerino Antonio per la zona del Vasto-Arenaccia (Corso Garibaldi e aree limitrofe);
- Bosti Patrizio e Contini Eduardo (a partire dal 2011 e fino al 2016), confermatisi essere vertici assoluti del clan Contini, con condotte di carattere organizzativo e direttivo che hanno continuato a esercitare nonostante la loro detenzione, grazie anche alla strumentalizzazione dei colloqui carcerari e comunque dei rapporti con l’esterno garantiti da familiari e con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati, a vario livello a loro subordinati, promuovendo altresì specifici reati fine, sia tipici dell’azione della c.d. “ala criminale” del clan sia di quella imprenditoriale, cui impartivano direttive strategiche e fornivano ingenti provviste finanziarie derivanti da delitti;
- Aieta Maria, Aieta Rita, Aieta Anna, rivelatesi essere figure attuatrici delle direttive strategiche, sia per i rapporti interni ai clan confederati che per le relazioni verso l’esterno, direttamente e consapevolmente coinvolte nella gestione degli affari criminali della consorteria mafiosa con poteri anche decisionali assunti d’intesa con i rispettivi coniugi, per veicolare verso l’esterno le istruzioni ricevute e con poteri anche autonomi soprattutto in relazione al controllo dell’usura e delle estorsioni e alla gestione degli introiti economici della confederazione mafiosa;
- Botta Salvatore cl. 1950 (dal 2011 e anche durante la sua detenzione) e della moglie Di Munno Rosa (dal 2011 e anche durante la sua detenzione a partire dal 22.1.2014) figure apicali del clan Contini, comunque sottoposti alle direttive dei vertici, e in particolare di Bosti Patrizio e di Contini Eduardo, ma a loro volta con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati di livello a loro subordinato, organizzati in sottogruppi, dediti a delitti quali usura, estorsione, traffico di stupefacenti, reinvestimento economico-finanziario in diversi settori degli illeciti profitti del clan, anche attraverso fittizie interposizioni. In particolare, Di Munno Rosa, occupandosi insieme al marito Botta Salvatore, anche in periodi nei quali quest’ultimo era detenuto, di definire le linee strategiche del gruppo di loro riferimento con riguardo alla gestione delle risorse finanziarie accumulate dal clan e della raccolta dei crediti originati dall’usura, intratteneva altresì, a tale scopo, relazioni con soggetti che operano nel settore del reinvestimento dei proventi criminali, divenendo un imprescindibile punto di riferimento decisionale per le iniziative commerciali e imprenditoriali nell’area di riferimento del clan Contini;
- Ambrosio Mario, quale partecipe dell’associazione, che si è occupato, insieme a Botta
Salvatore cl. 1982, altro partecipe e stretto collaboratore dello zio omonimo, e insieme ad affiliati di rango inferiore quali Santoriello Fortunato, Delle Donne Maurizio, Botta Nicola, di gestire attività imprenditoriali del settore del commercio di abbigliamento e accessori, occupandosi inoltre dell’intermediazione per le richieste estorsive avanzate dai capi del sodalizio verso altri commercianti e, comunque, adoperandosi per prestare ausilio agli stessi dirigenti del clan e alle loro famiglie, anche con riferimento alla gestione di affari di varia natura;
- Aieta Antonio, Ammendola Giuseppe, Di Carluccio Ciro emersi essere organizzatori e promotori dell’associazione mafiosa insieme a Botta Salvatore cl. 1950, per aver concordato e condiviso con i vertici del clan e quali diretti referenti dei medesimi capi, le linee strategiche del sodalizio con riferimento alle più importanti attività e vicende criminali a esso riconducibili. Sono stati raccolti elementi probatori a loro carico in ordine la gestione del traffico di stupefacenti e della rete di spacciatori operanti nelle piazze di spaccio riferibili alla consorteria. E, ancora, si sono occupati di organizzare e programmare l’esecuzione di attività estorsive ai danni di operatori economici, nonché gestire la “cassa comune” del clan (mantenendone la contabilità), interessandosi, in tale veste, del pagamento delle mensilità agli affiliati e le connesse spese di giustizia, nonché di tenere a disposizione le somme destinate dall’organizzazione all’acquisto di stupefacenti e di programmare, organizzare e realizzare gli investimenti delle illecite provviste finanziarie del sodalizio in diversificate attività economiche e d’impresa;
- Bosti Ettore cl. 1979, De Feo Alfredo, Tolomelli Vincenzo cl. 1957, emersi quali figure di
vertice in qualità di reggenti del sodalizio camorristico, atteso lo stato di detenzione dei capi Contini Eduardo, Bosti Patrizio, Botta Salvatore cl. 1950, e a partire dal gennaio 2014 anche di Aieta Antonio, co-dirigevano l’organizzazione programmando e realizzando, attraverso i loro subalterni, e sulla base di direttive provenienti anche dai vertici, sebbene detenuti, una serie indeterminata di delitti, tra i quali, su tutti, il traffico di stupefacenti, le estorsioni e l’usura, gestendo anche la cassa comune del clan (con relativa contabilità) e interessandosi, sempre nella loro veste, di versare gli stipendi degli affiliati e le connesse spese di giustizia, tenendo in considerazione un adeguato accantonamento di somme da destinare all’acquisto di droghe;
- Esposito Gaetano, emerso quale concorrente esterno dell’intero cartello mafioso dell’Alleanza di Secondigliano, essendosi occupato stabilmente e consapevolmente di reinvestire una parte dei capitali illecitamente accumulati da più componenti di vertice della storica organizzazione mafiosa in diverse attività economico-finanziarie, tra le quali investimenti immobiliari e commercio su vasta scala di ori e preziosi, restando a disposizione del sodalizio per qualsiasi attività e necessità economico-finanziaria
finalizzata al mantenimento e all’accrescimento della forza economico-criminale dell’Alleanza, ai cui esponenti di rilievo costantemente si rapportava;
- Esposito Luca, emerso quale partecipe dell’organizzazione impegnato, in particolare, in attività di usura e di reinvestimento dei capitali illeciti in attività economico-commerciali di vario tipo, tra le quali la compravendita di ori, preziosi e orologi di valore;
- De Rosa Teodoro, poi divenuto collaboratore di giustizia, emerso come impegnato in attività fiduciarie dei vertici del clan, Bosti Patrizio e Contini Eduardo, per i quali ha garantito anche il sostegno della loro latitanza, nonché nei confronti dei familiari, tra i quali le mogli dei capi Aieta Rita, Aieta Anna e Aieta Maria, alle quali offriva ogni ausilio per la ricezione, conservazione e investimento di somme di provenienza illecita, garantendo anche il finanziamento di attività illecite, il reinvestimento e l’occultamento della provenienza illecita dei profitti utilizzando le società proprietarie del bar e del ristorante site all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco, gestite dalla famiglia del De Rosa; altresì, ha fornito illeciti favori a sodali del clan Contini e di altri clan alleati (quali ricoveri indebiti, certificazioni mediche false, etc.) sfruttando la sua presenza e i suoi contatti all’interno dell’ospedale, grazie alla disponibilità del personale sanitario o attraverso condotte di violenza e minaccia in danno del predetto personale;
- Rullo Nicola, Cristiano Antonio, Muscerino Antonio, Folchetti Luigi che, quali esponenti
di rango del sodalizio camorristico, hanno preso parte alla direzione dell’organizzazione e hanno concorso sia nella programmazione che nella attuazione di più ambiti illeciti di interesse del sodalizio, tra i quali spiccano la commercializzazione d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e la realizzazione seriale di estorsioni e usura, non omettendo, in tal guisa, di coordinare le attività delittuose di sottogruppi di sodali posti alle dirette dipendenze dei reggenti;
- Vittorio Raffaele e Vittorio Salvatore, emersi essere partecipi dell’organizzazione, con ruoli di stretta collaborazione con Contini Eduardo, Bosti Patrizio, Mallardo Francesco, Bosti Ettore cl. 79 e Tolomelli Vincenzo cl. 57, che si sono stabilmente occupati di reinvestire ingenti capitali illecitamente accumulati dal clan Contini in Italia e all’estero, e in particolare nella Repubblica di Santo Domingo;
- Calienno Antonio emerso essere uomo di assoluta fiducia dei capi, esattore per conto del clan e deputato alla cura dei rapporti di vertici e affiliati con il collegio difensivo del clan Contini;
- Barra Felice che, quale partecipe dell’associazione, si è occupato di garantire il rifornimento di sostanze stupefacenti destinante ad alimentare le piazze di pertinenza del clan Contini e di gestire i rapporti con altri capi, quali quelli tra Mallardo Francesco (quando questi era agli arresti domiciliari in Sulmona) con i restanti affiliati, e tra il clan
Contini e Di Martino Luigi, elemento apicale del clan Cesarano di Castellammare di Stabia;
- Cerbone Pietro, quale partecipe, che h ricoperto l’incarico di guardaspalle e uomo di fiducia di Rullo Nicola, al quale ha assicurato anche il collegamento con Aieta Antonio e Bosti Ettore durante la sua latitanza (del Rullo);
- Botta Lucia, Botta Nicola, De Rosa Giuseppe cl. 1970, Santoriello Fortunato, Lieto Domenico, Delle Donne Maurizio, emersi essere co-organizzatori di alcune attività del sodalizio sotto le direttive strategiche e il controllo di Botta Salvatore cl. 1950 e di Di Munno Rosa (i quali provvedevano anche al finanziamento degli investimenti e partecipavano alla ripartizione degli utili) impegnati, in particolare, nelle attività di usura e di riciclaggio dei proventi illeciti in diversi settori merceologici, tra i quali spicca quello dell’abbigliamento, gestendo altresì lo smercio di prodotti con marchi contraffatti e di quelli commercializzati attraverso reti c.dd. “parallele”, inoltre, si adoperavano nel reimpiego di denaro e beni di illecita provenienza, nonché nel recupero violento dei crediti, derivanti tanto dall’attività di usura;
- Alfano Alessio, Barbella Giulio, Botta Ciro, Botta Vincenzo, Candido Giovanni, Candido Lamberto, Capozzo Rosario, De Falco Guglielmo, De Rosa Gennaro, Finizio Nunzio, Giordano Giuseppe, Marano Mario, Riva Marco, emersi, in qualità di partecipi, in particolare Candido Giovanni e Candido Lamberto, gestori di attività commerciali (tra cui l’autorimessa “Mazzini” attiva nella vendita di auto usate) attraverso le quali il clan, in particolare il gruppo Botta, riciclava o comunque reimpiegava parte dei capitali illecitamente accumulati;
- Alfano Alessio, Barbella Giulio, Capozzo Rosario, De Rosa Gennaro, Finizio Nunzio, Giordano Giuseppe, Marano Mario emersi essere quali addetti alla gestione di pratiche usuraie e al recupero dei crediti derivanti da queste derivanti, nonché al re-impiego dei relativi ricavi illeciti;
- Botta Ciro, Botta Vincenzo, Botta Giovanni, emersi anche nell’ambito di una specifica associazione per delinquere organicamente inserita nella compagine mafiosa Contini, della cui forza mafiosa si sono avvalsi e alla quale sono devoluti i conseguenti proventi, dediti alla consumazione di truffe ai danni di istituti assicurativi mediante la simulazione di sinistri stradali;
- Corrado Ferruccio, Corrado Gennaro, Capozzoli Vincenzo e Pelliccio Gennaro, emersi essere, quali partecipi, responsabili del settore dell’approvvigionamento, a favore del sodalizio, di armi da fuoco e di detenere e custodire le stesse per conto del clan;
- Corrado Gennaro, Caso Pietro, Comitato Salvatore e Spina Giuseppe, anche loro partecipi dell’organizzazione, emersi poiché si sono occupati di detenere ingenti somme
di danaro dell’organizzazione destinate al fabbisogno giornaliero della stessa con riferimento all’acquisto di stupefacente, tenendo la relativa contabilità. In particolare, Spina, titolare di una salumeria, tutelava l’organizzazione ponendo i locali della propria attività commerciale a disposizione dei sodali per il deposito e la custodia di denaro o di telefonici cellulari;
- Percope Salvatore, quale partecipe dell’organizzazione, con il compito di distribuire, su esplicito incarico di Tolomelli Vincenzo cl. 1957, le c.dd. “mesate” ai vari affiliati del clan Contini nonché d ‘intermediario tra Tolomelli Vincenzo e i restanti gregari;
- Arduino Giuseppe, Cerbone Pietro, Del Mondo Gennaro, Falanga Umberto, Murano Roberto, emersi quali partecipanti alle diverse attività illecite del sodalizio, avendo operato, in particolare, nel quartiere dell’Arenaccia alle dirette dipendenze di Rullo Nicola (specie il Falanga, con il compito di rifornire dello stupefacente nelle piazze di spaccio);
- Boselli Alessandro, Capozzoli Vincenzo, Esposito Giovanni, Merolla Salvatore, Percope Salvatore, Petrone Salvatore, Poggi Luciano, Tolomelli Vincenzo cl. 1987 e Tolomelli Giuseppe, dediti alla conduzione di estorsioni, reati in materia di armi e stupefacenti, operando nelle zone della Ferrovia e del Borgo Sant’Antonio, nei quartieri Vasto- Arenaccia e San Carlo Arena (in particolare il Percope con il compito di autista e aiutante di Tolomelli Vincenzo cl. 57);
- Marsiglia Giuseppe, Cristiano Tommaso e Cristiano Fabio, quali partecipi con il alle diverse attività illecite del sodalizio, in particolare per i due Cristiano attraverso il traffico illecito di tabacchi lavorati esteri e, per il solo Cristiano Fabio attraverso le estorsioni, e per tutti con il compito di coadiuvare Cristiano Antonio.
IL RUOLO DI MALLARDO FRANCESCO NEL PERIODO DI LIBERTÀ
Mallardo Francesco, scarcerato per motivi di salute il 26 marzo 2014 su provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Milano e
obbligato a risiedere in regime di detenzione domiciliare fuori regione, a Sulmona (AQ), anche a seguito dei numerosi arresti eseguiti il 22
gennaio del 2014 su provvedimento del GIP di Napoli a seguito di indagini della
locale DDA, che avevano notevolmente indebolito il clan Contini, ha nei mesi successivi in più occasioni
ricevuto presso la propria abitazione abruzzese i richiamati Esposito Gaetano (titolare delle gioiellerie di Corso Meridionale), Bosti Ettore cl. 1979 e Tolomelli Vincenzo. Gli argomenti trattati
nel corso degli incontri hanno consentito di dimostrare come il decano del
sodalizio mafioso giuglianese appena tornato in libertà, in qualità di esponente
di vertice dell’Alleanza di Secondigliano, avesse assunto la direzione anche del clan Contini. Le acquisizioni
investigative, nel porre in risalto come il Mallardo fosse puntualmente aggiornato su tutte le attività illecite dell’ampio storico cartello mafioso, con particolare
riguardo a quelle di carattere economico, hanno offerto una tangibile dimostrazione dell’attuale esistenza e operatività dell’organizzazione dell’Alleanza. Tra gli episodi di maggior interesse va segnalato quello in cui egli, per il tramite di Bosti e Tolomelli, avviava subito mirate operazioni di recupero di grosse somme di denaro precedentemente investite attraverso i fratelli Vittorio Salvatore e Raffaele, emigrati a Santo Domingo. In particolare, forniva indicazioni al Bosti e al Tolomelli di inviare nella capitale della Repubblica dominicana un fidato anziano sodale, poi deceduto, per ricevere la restituzione di una somma pari a circa 1 milione e 800mila euro.
Altra vicenda di interesse è quella relativa alla figura del commerciante di preziosi Esposito Gaetano, invero già emerso in una indagine della Procura di Napoli nel dicembre 2016 con il suo arresto insieme alla moglie del Mallardo per riciclaggio, e con il sequestro delle società orafe ad egli riferibili. Egli infatti rendicontava a Mallardo su tutti gli investimenti effettuati, sia con la propria società che con l’intermediazione di Di Carluccio Ciro e dei fratelli Vittorio, e non solo nell’interesse del Mallardo, ma anche di altri esponenti di vertice del clan Contini. In sostanza, le gioiellerie gestite da Esposito Gaetano, sono risultate essere un nevralgico centro di investimenti di ingenti somme di denaro provenienti dai Mallardo e dai Contini, con le modalità chiaramente evidenziate dallo stesso Esposito nel corso di più dialoghi oggetto di captazione, di cui se ne riporta, per al sua significatività, quello intercorso con il capo clan giuglianese nel mese di ottobre del 2014.
Mallardo Francesco è stato nuovamente arrestato per associazione mafiosa il 16
novembre 2015 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale DDA.
Va poi
segnalata altra conversazione intrattenuta da Mallardo Francesco con le cognate
Aieta Maria e Rita il 13 ottobre 2014, dalla quale oltre a emergere con chiarezza il ruolo di vertice ancora ricoperto dai rispettivi mariti detenuti Contini
Edoardo e Bosti Patrizio, venivano
poste in evidenza
le relazioni intercorrenti con altre organizzazioni operanti nella provincia come il clan Cesarano,
il quale, sebbene fiaccato delle indagini, appariva strettamente legato all’“Alleanza di Secondigliano”. In effetti, dalla conversazione, emergeva
come gli interlocutori discutessero della suddivisione di quote, percepite anche da Tolomelli Vincenzo e Grasso Antonio, derivanti dall’incasso di un’estorsione
perpetrata ai danni di un soggetto ignoto. Si trattava di una vicenda
di chiara matrice
estorsiva gestita da Mallardo Francesco. Infatti, una persona, rimasta non identificata, socio di Contini Michele, cugino
di Edoardo, a seguito dell’esecuzione
di alcuni
lavori edili non meglio individuati, avrebbe offerto una busta di soldi quale tangente estorsiva in segno di rispetto, portando
i «saluti» dello stesso Michele. Il Mallardo raccontava alle cognate di aver
appurato che di tale vicenda era del tutto all’oscuro Contini Michele e, dopo aver fatto alcune verifiche su questa persona, avrebbe dato ordine di accettare la somma di denaro (30mila euro) successivamente divisa tra «quelli di Castellammare» (i Cesarano), i cognati Contini Edoardo e Bosti Patrizio, Tolomelli Vincenzo, De Feo Alfredo e il fratello Mallardo Felice. La stessa Aieta Maria commentava di aver ricevuto da Tolomelli la quota di 5 mila euro per mano di tale Piero, sebbene ne ignorasse la provenienza. Interessante poi il riferimento del Mallardo a «quelli di Castellamare», atteso che, come riscontrato dalle indagini, egli aveva incontrato a Sulmona Di Martino Luigi detto Gigino ‘o Profeta, reggente del clan Cesarano, operante anche in Castellamare di Stabia.
EPISODI PIÙ SIGNIFICATIVI DI PRETESE ESTORSIVE
L’attività di indagine ha permesso di documentare una continua, pressante e capillare azione estorsiva condotta da esponenti del clan Contini sul territorio di riferimento, con l’individuazione di oltre 40 casi di ingiuste pretese economiche ai danni di attività commerciali e imprese. In tale ambito, per natura delle vittime e contesto nel quale sono maturate le richieste, appaiono di rilievo alcune vicende, rappresentative della pervasività e della pericolosità dell’organizzazione. In un caso, che peraltro riflette anche l’illecita incidenza del sodalizio sulla struttura ospedaliera adiacente al Rione Amicizia, nota roccaforte del clan, infatti, Botta Nicola detto ‘o Nano (figlio di Botta Salvatore), attraverso reiterati atti di violenza e minaccia, costringeva i dirigenti di una delle ditte di pulizie operante presso l’ospedale San Giovanni Bosco e alle cui dipendenze Botta era formalmente assunto, ma per la quale si rifiutava, con atteggiamento mafioso, di prestare qualsivoglia attività, a rinunciare ad emettere nei suoi confronti un provvedimento di allontanamento (c.d. “licenziamento per giustificato motivo soggettivo”, previsto dall’art. 3
L. 604/1996), iniziativa che era per essere intrapresa a seguito dei lunghi, ripetuti e
immotivati periodi di assenza del Botta dal suo impiego.
In altra vicenda, invece, Aieta Antonio reggente all’epoca del clan Contini disponeva ai suoi sodali l’esecuzione di un’estorsione ai danni di un ambulatorio per emodialisi della zona di Capodichino, ritenuta una fiorente attività commerciale e tra le poche della zona a non pagare il “pizzo”.
Altra vicenda di particolare
interesse relativa a dinamiche estorsive del clan è quella relativa imposizione della vendita di una cappella gentilizia, sita al “Nuovissimo” cimitero di Poggioreale. In particolare, Botta Salvatore cl. 50, sul finire del 2011, per il tramite di Ambrosio Mario, richiedeva a tale Vinciguerra Nicola, la restituzione di somme illecitamente pretese dal sodalizio nei confronti dei figli di quest’ultimo, Massimo e Antonio che, a seguito di una alluvione che anni prima deteriorò la merce presente nel
deposito di abbigliamento di cui erano titolari sito al Ponte di Casanova, si trovarono obbligati a chiedere una dilazione dei pagamenti ai loro fornitori, i quali erano tutti riferibili al clan Contini. A tale scopo, sempre il Botta, mediante i suoi accoliti, costringeva Vinciguerra dapprima a cedergli la disponibilità di una cappella gentilizia e poi, a causa di alcune criticità relative alla transazione, gli imponeva la vendita in favore di tale Arcucci Tommaso per la cifra di 110mila euro, denaro direttamente incassato da Ambrosio Mario, per la successiva devoluzione a Totore Botta. Ma vi è di più. Infatti, Botta Salvatore cl. 82, mediante minaccia consistita nella prospettazione di appartenenza al sodalizio camorristico e dello spessore criminale dello zio Salvatore cl. 50, costringeva l’Arcucci ad acquistare la cappella di proprietà del Vinciguerra, versando il corrispettivo, di cui 20mila euro nell’immediatezza, non al cedente, ma, come detto, agli emissari del clan Contini, ossia ad Ambrosio Mario, per cifra di 110 mila euro, in parte in contanti e in parte in assegni. Una doppia estorsione: da un lato la costrizione alla vendita della cappella gentilizia e dall’altro l’imposizione all’acquisito da parte di un terzo. Ma non basta. Infatti, le indagini hanno permesso di documentare come il Vinciguerra, dopo la vendita della cappella, fosse stato comunque costretto a versare mensilmente somme non dovute a Tolomelli Vincenzo e Percope Salvatore.
L’attività di estorsione è stata poi anche condotta quale rimedio dopo aver prestato danaro
a tassi usurari oscillanti tra l’80% e il 240% annuo a imprenditori e professionisti in difficoltà, che non erano riusciti a rispettare i tempi del piano di rientro dal debito. È il caso, ad esempio, dell’imprenditore Barone Antonio, titolare di una ditta operante nel settore degli infissi, che più volte, era stato minacciato verbalmente e con la promessa di aggressioni fisiche, in particolare dagli indagati Botta Angelo detto Angiulill ‘o barbiere, De Rosa Giuseppe detto Peppe ‘o Buffone dal figlio De Rosa Gennaro e da Barbella Giulio. Indicativa al riguardo, era la conversazione telefonica tra Botta Angelo e la vittima Barone Antonio nel corso della quale il primo, avuto conferma che la restituzione del denaro preteso sarebbe stata solo parziale (350 euro, a fronte di 500) gli chiedeva, con tono minaccioso, dove si trovasse, lasciandogli intendere che lo avrebbe raggiunto.
Le estorsioni, come spesso documentato dalle indagini, pongono
il conseguimento anche di scopi ulteriori a quelli del mero
ingiusto arricchimento con conseguenti fenomeni di ridistribuzione ai sodali di
risorse illecitamente accumulate. Nel caso che a breve verrà illustrato, attraverso l’indiretta gestione delle autorizzazioni
e l’imposizione
a titolo estorsivo del pagamento
di una quota settimanale da parte dei venditori ambulanti operanti nel mercato del Buvero di Sant’Antonio, nonché dalle bancarelle abusive allestite per la vendita dei tabacchi lavorati esteri, sottende anche finalità di controllo, di “segnatura”, del territorio, per la conservazione
dell’egemonia
criminale
su tali aree. Il
contenuto di alcune conversazioni ha infatti permesso di chiarire come un affiliato al clan Contini, tale Mendozzi Salvatore, avesse il compito di gestire il mercato rionale che quotidianamente viene allestito nel Borgo Sant’Antonio. È stato possibile documentare come il Mendozzi, per conto del sodalizio, raccogliesse il “pizzo” che ogni commerciante del mercatino era tenuto a versare, così come da egli stesso candidamente ammesso nel corso della conversazione ambientale con altro sodale. Invero, i commercianti che operano nel mercato del Borgo di Sant’Antonio hanno costituito il consorzio denominato A.S.P.E.M.I. – Associazione Sviluppo Piccole E Medie Imprese con sede in Napoli al Centro Direzionale. Il presidente del consiglio direttivo è risultato essere tale Gueli Francesco (destinatario di misura cautelare agli arresti domiciliari) e, in più di una circostanza, Mendozzi si è dichiarato «coordinatore» dell’A.S.P.E.M.I.. Eloquente, sul punto, è l’intervista rilasciata all’emittente locale Road TV Italia l’8 aprile 2014. In quella circostanza veniva intervistato, oltre a Gueli Francesco quale presidente del consorzio dei commercianti, anche Mendozzi Salvatore che, nell’affrontare le problematiche connesse al decoro e alla pulizia di piazza Giovanni Leone, nei pressi dell’ex Pretura, si autodefiniva «coordinatore dei commercianti di piazza Leone per conto dell’ASPEMI», sebbene non avesse alcuna carica formale. A ciò va aggiunto che dall’impianto tecnico sono state intercettate numerose conversazioni telefoniche intercorse tra Mendozzi Salvatore e Gueli Francesco, dalle quali è emerso che Mendozzi aveva il controllo assoluto dell’associazione, arrivando persino a influenzare le scelte di competenza del Gueli e decidendo, in piena autonomia, quali postazioni assegnare all’interno del mercatino rionale del Borgo ai commercianti.
Che ogni bancarella adibita alla vendita di prodotti leciti oppure illeciti come i tabacchi di
contrabbando versasse una quota estorsiva pari a 10 euro al giorno, ha trovato conferma nel corso di una conversazione ambientale in cui a parlare era il reggente del clan dell’epoca, Aieta Antonio.
A tali eventi, se ne aggiungono altri, peraltro ricorrenti, di controllo dell’allestimento di luminarie natalizie nei quartieri del Vasto e nella zona c.d. di San Giovanniello, accompagnato dall’imposizione del versamento di una quota in denaro camuffata da contributo per la relativa installazione, da cui però erano esentate, per ordine del capo clan, le gioiellerie Esposito.
Nel particolare e redditizio settore, veniva anche individuato, quale potenziale obiettivo a cui richiedere il pizzo, un centro di fisioterapia e riabilitazione motoria
ovvero il “Centro
Pro Juventute Minerva S.r.l.” di via Ponti Rossi. In effetti, la
conversazione intercettata il 12.9.2013 e intercorsa tra gli indagati Grasso Antonio e Pomatico Mario, faceva emergere con chiarezza la pressante attività estorsiva posta in essere da parte dell’organizzazione, condotta con minuziosa
attenzione, evitando il rischio che alcune attività
commerciali
rimanessero esenti dal pagamento della quota.
Che Aieta Antonio e Grasso Antonio fossero i mandanti di una serie di asfissianti iniziative estorsive attuate da un gruppo di emissari capeggiato da Pomatico Mario ai danni di imprese edili impegnate anche in lavori per privati di modesta entità, emergeva candidamente nella vicenda del settembre 2013 relativa alla richiesta di denaro (2500 euro) a una ditta incaricata di eseguire una ristrutturazione di una abitazione nel Buvero. In quell’occasione il titolare dell’impresa denunciò la ingiusta richiesta e i responsabili, identificati in Pomatico Mario, Patierno Michele ed Esposito Giovanni vennero arrestati di lì a qualche giorno. Le contestuali attività di intercettazione hanno però consentito di ricondurre l’estorsione alle strategie del clan, ovvero di una raccolta “a tappeto”, diffusa su tutto il territorio di riferimento, e i cui registi erano, appunto, Aieta Antonio e Grasso Antonio. Fonte di guadagno certo tale forma di vessazione, tanto che il sodalizio prevedeva proprio una figura dedicata all’individuazione di cantieri nel territorio di pertinenza, il c.d. filatore, incarnato da Fiorillo Gennaro. Ed è stato proprio lui a condurre una estorsione ai danni di una ditta impegnata in lavori di ristrutturazione di un appartamento posto nel quartiere Arenaccia, salvo poi fermarsi quando giunto sul posto, nel contattare l’imprenditore, notava la presenza di altre 4 persone che riferivano di essere del clan Ferrara di Villaricca, così come anche sostenuto dall’imprenditore.
L’approccio di Fiorillo era funzionale al passaggio successivo da parte di Tolomelli
Vincenzo per procedere alla ricezione della somma. Infatti, le richieste alle imprese edili venivano avanzate secondo criteri ben delineati: la percentuale dovuta al clan di zona per gli appalti era del 4-5 % del valore intero del capitolato. E Fiorillo, deputato ad avanzare la pretesa estorsiva quantificandola, in funzione del ruolo sul territorio da lui ricoperto per conto del sodalizio, era a ben a conoscenza degli importi relativi alle commesse pubbliche o private dalle quali pretendere l’ingiusta prestazione.
IL CONTRABBANDO DI T.L.E.
Le indagini hanno permesso di raccogliere elementi in ordine a un’associazione, capeggiata da Ammendola Giuseppe, Tolomelli Vincenzo e Cristiano Antonio, avente lo scopo di importare da Ungheria e Ucraina tabacchi lavorati esteri, per lo più di marca Classic, Chesterfield e Jim Ling, i cui proventi confluivano nelle casse del clan. In particolare, sono emersi i canali d’importazione con cui l’organizzazione riforniva i rivenditori al dettaglio all’interno del Buvero. Le intercettazioni hanno inoltre svelato come i carichi venissero trasportati all’interno di doppi fondi ricavati in autovetture di media cilindrata con targhe austriache.
Tra le fonti di prova, di maggior pregio
sono risultate le conversazioni dalle
quali emergeva come, i componenti del sodalizio fossero in attesa di un grosso carico di sigarette che era
andato perso. Gli approfondimenti consentivano di appurare come nel medesimo periodo e in particolare il 22 marzo 2012 la Guardia di Finanza di Udine nell’ambito di autonome indagini procedeva al sequestro di 14 tonnellate di sigarette di contrabbando provenienti dall’Ucraina.
LA DISPONIBILITÀ DI ARMI
Le investigazioni hanno inoltre consentito di documentare il possesso, da parte del sodalizio, di un cospicuo arsenale, costituito per lo più da armi corte come pistole, alcune provviste anche di silenziatori, ma anche da mitragliette, fucili a pompa e kalashnikov AK 47 nonché il controllo del territorio ricorrendo a “sentinelle” armate del clan. è il caso, ad esempio di Grasso Emanuele, figlio di Grasso Antonio detto ‘o Cuozz (poi deceduto), che in una conversazione con la moglie le confidava di essere stato impegnato nella vigilanza del territorio avendo a disposizione una pistola, rischiando così di incorrere in un arresto se le «guardie» lo avessero fermato. In effetti, in altro dialogo, il padre, Antonio, chiedeva al figlio Emanuele quali cautele adottasse nel riporre la pistola che aveva nella sua disponibilità. Egli infatti si preoccupava se il figlio avesse inavvertitamente toccato l’arma senza usare dei guanti, lasciando così le proprie impronte digitali.
In tale ambito, di rilievo appariva la conversazione del 19 gennaio 2013 in cui il reggente del clan dell’epoca Aieta Antonio (cognato di Mallardo Francesco, Contini Edoardo e Bosti Patrizio) delegava il sodale Tolomelli Vincenzo ad acquistare, evidentemente per aumentare la potenza di fuoco dell’organizzazione, un fucile semiautomatico a presa di gas modello Spas con il manico anatomico e dotato anche di lanciagranate. Nel corso della conversazione, Tolomelli asseriva di aver già comperato un’arma simile sebbene di un modello e calibro diverso.
INGERENZE NELL’OSPEDALE “SAN GIOVANNI BOSCO”
Le indagini hanno fatto luce su influenze e interessi del clan Contini all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, attraverso l’opera della famiglia di Botta Salvatore cl. 1950.
È emerso infatti un collaudato schema
sinallagmatico tra clan e pezzi
dello Stato-apparato traslato su un piano di reciprocità anche tra esponenti del clan e la popolazione. Ed ecco che si è nel tempo consolidato un illecito meccanismo in cui la camorra dei Contini, attraverso figure intranee tanto all’organizzazione quanto alla struttura nosocomiale con un ruolo di filtro e/o cerniera, da un lato è in grado di poter soddisfare ogni tipo di esigenza del cittadino connessa a motivi di salute, magari anche fondati ma non meno rilevanti di tanti altri, superando con una certa celerità, per dirne solo alcune, lunghe liste d’attesa o impasse burocratiche, e, dall’altro, per compensazione, esaudire richieste avanzate dal personale sanitario. Si tratta di un do ut des in cui da parte del clan è assicurata la
protezione, anche fisica, a coloro che ne fanno richiesta, ricevendone in cambio la messa a disposizione in favore di membri del sodalizio o a persone a questi vicini o conosciuti, di strutture e professionalità, accessibili secondo canali privilegiati e non istituzionali, certamente non consentiti alla collettività generalmente considerata.
Di estremo interesse, in tal senso, sono apparse alcune vicende che hanno cristallizzato il potere esercitato dai Botta nel nosocomio, confermando le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. A questo ambito, è ascrivibile un episodio documentato nel febbraio 2013 attraverso una serie di conversazioni telefoniche vertenti una richiesta di aiuto proveniente da un medico il quale, mostrando un certa confidenza nei rapporti, contattava Botta Vincenzo e, con tono chiaramente allarmato, gli chiedeva di raggiungerlo
«…subito! Ma subito! Ma non venire solo tu. Hai capito?», senza dilungarsi sul luogo dell’intervento che, era presumibile, si trattasse del vicino (a Botta Vincenzo e al suo esercizio commerciale) ospedale San Giovanni Bosco (sito in questa via F. M. Briganti), presso il quale il medico lavorava. L’intervento di Botta Vincenzo risultava pressoché immediato, tant’è che dopo soli pochi minuti, così come raccomandato dal professionista
«…ma non venire solo tu. Hai capito?» questi contattava lo zio Botta Angelo (fratello del boss detenuto Salvatore) veicolandogli la richiesta di soccorso, attinente a un’aggressione che il medico rischiava di subire da due soggetti sconosciuti, per ragioni non chiarite. Botta Angelo, non potendo assicurare la sua presenza nell’immediatezza, suggeriva al nipote di accertarsi sulla provenienza dei due che stavano minacciando il sanitario, in vista della loro punizione. L’intervento dei Botta è poi risultato essere stato risolutorio, come intuibile dal tenore di una successiva conversazione dalla quale si comprendeva che il loro intervento si fosse concluso favorevolmente «Tutto a posto!», risultato conseguito grazie all’invio di emissari dello stesso Botta Vincenzo.
E, ancora, dalle indagini è emerso come il clan Contini godesse di trattamenti privilegiati e preferenziali
all’interno della citata struttura ospedaliera. Infatti, da alcuni episodi richiamati in conversazioni intercettate, è stato possibile desumere come Botta Angelo e il nipote Botta Vincenzo
riuscissero ad ottenere
trattamenti di favore
per alcuni appartenenti al loro circuito
relazionale, come nel caso di Botta Raffaella, figlia del boss detenuto Salvatore cl. 1950, che chiedeva
allo zio Angelo di fissarle un appuntamento con uno specialista, specificando che il giorno a lei più congeniale era il giovedì e bypassando le ordinarie
procedure di prenotazione e pagamento della prestazione. Ed è sempre Botta Angelo, il quale, inoltre, è
risultato dipendente della società E.P.M. S.r.l., società appaltatrice dei servizi di pulizia presso quel nosocomio, a fissare l’appuntamento per una risonanza magnetica di una donna vicina al
gruppo Botta. A questi episodi si aggiunga addirittura la possibilità per gli appartenenti al clan Contini
di accedere anche
all’acquisizione di farmaci presso l’ospedale. Le indagini, grazie anche al contributo dei collaboratori di giustizia, hanno consentito di porre in risalto come il clan Contini, attraverso entrature e relazioni negli anni create e regolate dai Botta anche con il ricorso alla violenza, e in particolare da Botta Salvatore cl. 50, che era stato un portantino presso quel presidio ospedaliero, sia stato in grado di:
- gestire ovvero intervenire nei processi decisionali delle attività sindacali che potevano essere su posizioni opposte e ostacolare le governance della dirigenza sanitaria;
- imporre le assunzioni di affiliati da parte delle ditte operanti all’interno del nosocomio per giustificare la loro presenza in loco, tesa invero ad avere pieno controllo di tutte le attività che ivi si svolgono oppure influire sulle assunzioni per favorire quelle di persone vicine al sodalizio;
- riuscire ad avere il compiacente o forzato sostegno da parte dei sanitari per medicare feriti da arma da fuoco del clan senza che questi ricevessero le cure presso il pronto soccorso;
- riuscire ad avere, in alcuni casi mediante la complicità di medici o in altri attraverso metodi costrittivi con il ricorso a minaccia e violenza, falsi certificati per agevolare propri affiliati in relazione a vicissitudini penali che li riguardano così come, all’occorrenza, stilare referti medici falsi finalizzati a organizzare frodi assicurative;
- lucrare anche sui decessi in ospedale, facendo leva sulla momentanea fragilità dei congiunti connessa al desiderio di riavere in fretta la salma per l’estremo saluto; operazione che si realizzava dapprima mediante la falsificazione di documenti che anziché attestare la morte del paziente ne autorizzava le dimissioni e, in seguito, disporne, senza autorizzazione, il trasporto a casa a bordo di ambulanza, versando “a nero” fino a 500 euro per l’intero servizio.
GLI INVESTIMENTI DEL CLAN CONTINI E I SETTORI IMPRENDITORIALI DI INTERESSE
Le indagini sono state rivolte anche in direzione dei profili patrimoniali del sodalizio, ovvero in ordine agli investimenti, sull’attività di riciclaggio e verso fittizie intestazioni riconducibili al clan.
Tra queste sono emerse alcune società di gestione di garage privati adibiti a parcheggio di veicoli nel centro cittadino. È stato infatti possibile documentare un vero e proprio monopolio camorristico nella gestione dei parcheggi e dei garage. Emblematica, al riguardo, è il contenuto della conversazione intercorsa durante un colloquio carcerario tra Botta Salvatore, la moglie Di Munno Rosa, la figlia Botta Lucia e il figlio Botta Vincenzo. Dal dialogo si comprendeva come l’anziano boss consigliasse ai congiunti di preservare le somme di denaro provenienti da almeno 4 garage per il pagamento delle spese legali.
Sono poi emersi
altri settori di interesse del sodalizio per ingenti investimenti. In
particolare, quello:
- delle agenzie di scommesse, per il quale sono stati raccolti elementi circa l’investimento da parte di Bosti Ettore nell’apertura di un’agenzia ad insegna Iziplay, con l’individuazione dei relativi fittizi intestatari;
- della oreficeria, ove, come evidenziato, è stato dimostrato l’investimento del clan Contini e del clan Mallardo nelle gioiellerie Esposito di Napoli – Corso Meridionale (del valore di circa 5 milioni di euro), nonché la partecipazione all’associazione da parte del titolare Esposito Gaetano;
- della ristorazione, ove sono emersi interessi del clan nella grande struttura ricettizia denominata “Agriturismo Amici del Bosco”, sita in Napoli via Ponti Rossi, nonché la partecipazione all’associazione da parte del titolare Volpe Francesco Maria, il quale, tra l’altro, poneva la struttura a disposizione dell’organizzazione e degli esponenti di vertice per l’organizzazione di cerimonie, di riunioni riservate e di incontri di natura privata.
Altro settore commerciale che si
è caratterizzato per grossi investimenti da parte del sodalizio camorristico è quello del confezionamento di capi di abbigliamento, successivamente immessi nel mercato. In particolare, l’indagine ha permesso di far luce, tra gli altri, sui ruoli di Ambrosio Mario, Attardo Gaetano, Botta Salvatore cl. 1982, Botta Angelo, Botta Giovanni, Botta Lucia, Botta Nicola, De Rosa Giuseppe cl. 1970, Santoriello Fortunato, Lieto Domenico, Delle Donne Maurizio, partecipi con funzione di co- organizzatori di alcune attività del sodalizio, sotto le direttive strategiche e il controllo di Botta Salvatore cl. 1950 e della moglie Di Munno Rosa, i quali provvedevano anche al finanziamento delle varie iniziative nell’attività e
partecipavano alla ripartizione degli utili, impegnati, in particolare, in operazioni usuraie e di riciclaggio degli introiti illeciti in diversi settori merceologici, tra i quali soprattutto, come detto, quello dell’abbigliamento, gestendo
sia prodotti con marchi contraffatti che quelli commercializzati attraverso reti c.dd. “parallele” ovvero mediante negozianti compiacenti integrati nel sistema, come ad esempio Imperatore Antonella e Capece Giuseppe, titolari di negozi di abbigliamento nel quartiere
Arenaccia. In effetti, le attività di riciclaggio e reimpiego delle
risorse del clan
nel settore dell’abbigliamento sono risultate essere uno dei core business dei clan dell’Alleanza,
che ha consentito di alimentare quello che viene definito il “mercato del parallelo”, ossia una filiera di distribuzione
di capi d’abbigliamento sottratta ai canali ufficiali di importanti sartorie italiane, imposti, in alcuni casi, ai commercianti del settore sfruttando
la forza di intimidazione del
sodalizio. In tale
ambito, alcuni imprenditori, sono divenute anche vittime, o perché richiedenti prestiti a
tassi usuari o per non essere più riusciti a rispettare le tempistiche di
restituzione dei profitti derivanti dagli iniziali investimenti dell’organizzazione. Rappresentativa al riguardo è risultata la vicenda che ha
visto protagonista la citata Imperatore Antonella e la sua dipendente Olga Dimitrova, documentata attraverso alcune conversazioni telefoniche, dalle quali emergeva come Botta Salvatore cl. 1982 e Ambrosio Mario, si fossero recati presso il negozio della Imperatore per riscuotere la somma di 300 euro e, non avendola trovata, avevano percosso la commessa straniera. L’ignobile azione dei due induceva la Imperatore a protestare a telefono nei confronti di Ambrosio Mario che si giustificava dicendo di aver agito per conto di terzi.
ALTRI AMBITI CRIMINALI DI INTERESSE
Le indagini in direzione di alcuni esponenti del clan Contini hanno consentito di documentare l’esistenza di un’associazione finalizzata alla perpetrazione di rapine, in particolar modo in Emilia Romagna, ai danni di possessori di orologi di marca Rolex o similari, i cui proventi confluivano nelle casse del sodalizio. In tale ambito, sono stati individuati i componenti di una banda specializzata che con cadenza settimanale raggiungeva le città di Parma e Reggio Emilia per eseguire, armati di pistola e a bordo di scooter, rapine di orologi preziosi ai danni di cittadini e automobilisti. Indicativa nel senso è risultata una telefonata nel corso della quale due appartenenti al gruppo di rapina Rolex, in contatto tra loro, avevano appena commesso una rapina a Parma. Nell’immediatezza, a seguito della segnalazione da parte del personale del ROS, le locali Forze dell’ordine intervenivano tempestivamente, arrestando in flagranza gli autori.
Nel corso delle attività è stata poi documentata l’esistenza di un associazione finalizzata alla perpetrazione di furti in tutto il territorio nazionale ai danni di imprese e aziende di vari
settori, i cui proventi, anche
in questo caso, poi
confluivano nelle casse del clan.
Lo schema organizzativo dell’associazione prevedeva un dettagliato programma criminale e operava secondo convenute e ben rodate linee d’azione, quali l’acquisizione a noleggio di veicoli utilizzati per raggiungere l’obiettivo da derubare, l’approvvigionamento di mezzi tecnici di comunicazione difficilmente
controllabili con le consuete forme di intercettazione delle comunicazioni (come gli apparati radio ricetrasmittenti), la precisa suddivisione di ruoli, la predisposizione di basi logistiche e lo sfruttamento di accoliti già inseriti nelle città del Centro-Nord ove si commettono i
delitti. Anche
l’acquisizione
di strumenti
elettronici idonei all’apertura di cancelli o porte munite
di cancello comandato a distanza (duplicatori di radiocomandi per
l’apertura a distanza di cancello) rientrava tra gli accorgimenti della banda. Rientrava, altresì, nell’attività di apprestamento degli “strumenti del mestiere” anche l’acquisizione di centraline elettroniche per veicoli. Infatti, secondo una tipica metodologia utilizzata in questo particolare settore delittuoso, gli autori di furti e rapine, al fine di accendere il motore dei veicoli da asportare, ne
sostituivano la centralina per eludere in tal modo i sistemi antifurto preinstallati dalle case costruttrici (si pensi, per
esempio, all’immobilizzatore o “stacca motore” dei veicoli attualmente in circolazione, il cui motore è avviabile solo se associato a un determinato codice inserito nella chiave d’avviamento). In effetti, l’associazione criminale privilegiava quali obiettivi gli autocarri o furgoni parcheggiati all’interno delle varie attività commerciali o industriali, già caricati della merce da trasportare come pneumatici, materiale di cancelleria, prodotti di cosmetica, da rivendere sul mercato parallelo.
Ulteriore e grave episodio è risultato quello posto in essere da Cristiano Antonio, Esposito Giovanni, Percope Salvatore, Poggi Luciano, Riccio Bruno e Tolomelli Vincenzo cl. 1957 i quali, dopo diversi appostamenti presso un’abitazione ubicata a San Giorgio a Cremano, si introducevano all’interno armati e travisati con casacche recanti la scritta Polizia e, dopo aver legato e imbavagliato i componenti della famiglia occupante, sotto la minaccia di una pistola, intimavano loro la consegna del denaro presente nell’abitazione. Constatata l’assenza di denaro contante, gli autori fuggivano, lasciando immobilizzate le vittime. Le intercettazioni permettevano di individuare gli autori, cristallizzando le fasi organizzative ed esecutive del brutale delitto.
Le indagini hanno poi permesso di far luce su un altro settore di interesse per gli appetiti della cosca del centro di Napoli dell’Alleanza, ovvero quello delle truffe alle assicurazioni degli autoveicoli. In particolare, sono stati raccolti indizi circa l’esistenza e l’operatività di uno strutturato gruppo di soggetti che, particolarmente esperti di procedure vertenti i risarcimenti assicurativi per sinistri stradali, ricorrendo pure a simulazioni di incidenti tra veicoli con feriti, riuscivano a ricevere cospicui rimborsi non dovuti dalle case assicurative, larga parte dei quali, anche in questa circostanza, confluivano nelle casse del clan Contini. In tale ambito è stato possibile documentare lo strategico ruolo ricoperto dall’avvocato civilista Cecere Giuseppina, per la quale il GIP ha ravvisato gravi indizi di colpevolezza, ma non le esigenze cautelari.
E, ancora, le indagini sul fronte dei rapporti tra il clan Contini con altre organizzazioni criminali hanno fatto emergere esistenza e operatività di un’associazione finalizzata alla fabbricazione e commercializzazione in territorio sia nazionale che transnazionale – e più specificatamente in Olanda – di banconote, di vario taglio, contraffatte, i cui protagonisti sono stati identificati in Acanfora Salvatore, Barra Felice, Crupi Vincenzo (componente della cosca di ‘ndrangheta dei Commisso di Siderno). Nella circostanza, gli indagati con linguaggio cifrato, si riferivano alle banconote oggetto dell’importazione, simulando un trasporto di «muletti di colore blu da 20».
LE CAPACITÀ DI PENETRAZIONE DEL CLAN CONTINI IN APPARATI ISTITUZIONALI
Nel corso delle attività di indagine è stato possibile documentare come l’organizzazione, attraverso il gruppo facente capo a un esponente di spicco del clan Contini, Muscerino
Antonio, abbia manifestato capacità di anticipare l’azione delle Agenzie di contrasto, prevenendo le iniziative investigative di Magistratura e Forze dell’ordine. Tale azione è stata rafforzata anche dalla fitta rete di fiancheggiatori creatasi attorno ad affiliati, tra cui Panico Concetta, dipendente del Ministero della Giustizia impiegata presso l’Ufficio GIP del Tribunale di Napoli. In effetti, da alcune conversazioni intercettate è stato possibile comprendere come il sodale Pengue Antonio, nel gennaio 2014, fosse venuto a conoscenza, attraverso una sua parente, la Panico, dell’esistenza di una ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di 90 esponenti del clan Contini. Nell’occasione riceveva rassicurazioni sul fatto che nell’elenco degli indagati non vi erano né Muscerino Antonio né gli uomini del suo gruppo criminale. Infatti, altro componente del gruppo, Coppola Carlo, con tono compiaciuto, ne discuteva telefonicamente con Pengue Antonio, esaltando il fatto che la notizia era stata molto più precisa rispetto alle volte precedenti, perché in questa circostanza era stato indicato addirittura il numero esatto dei destinatari del provvedimento restrittivo. Pengue, nel vantarsi, affermava che la persona a cui si era rivolto appena tre giorni prima dell’esecuzione delle misure gli aveva garantito che loro (Muscerino e i sodali del suo sottogruppo) non erano tra le persone da arrestare. Gli approfondimenti svolti hanno consentito di accertare come la Panico, utilizzando abusivamente userid e password assegnate, il 15.1.2014 aveva, in effetti, eseguito un accesso, attraverso la modalità “visualizzazione”, al fascicolo di cui al p.p. 17982/05, nell’ambito del quale era stata emessa una ordinanza di custodia cautelare a carico di 90 persone, accusate di essere affiliate al clan Contini e la cui esecuzione avveniva il successivo 22 gennaio.
FATTI DI SANGUE EMERSI DALLE INDAGINI
Nel corso delle indagini, anche attraverso il contributo delle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, è stato possibile far luce sui seguenti episodi delittuosi:
- il ruolo di Botta Salvatore nel tentato omicidio di De Rosa Salvatore, avvenuto il 14.4.2011 a Napoli, in cui veniva attinto da vari colpi di pistola, teso a inviare un cruento messaggio mafioso al fratello De Rosa Giuseppe (affiliato al clan Contini e già condannato per partecipazione all’organizzazione mafiosa, poi divenuto collaboratore di giustizia) gestore di fatto insieme ai genitori del bar e del ristorante presente all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco, oggetto in quel periodo, attesi i contrasti sorti, di pesanti pretese economiche indebite da parte del Botta;
- il ruolo di Poggi Luciano, Tolomelli Giuseppe e Tolomelli Vincenzo cl. 1957 nel tentato omicidio di Boselli Alessandro, avvenuto a Napoli il 19 luglio 2011 quando sono stati attinti da alcuni colpi di pistola alle gambe, poiché innanzi a testimoni aveva mancato di rispetto al proprio referente di vertice Tolomelli Vincenzo;
- il ruolo di esecutore materiale ricoperto da Bosti Ettore nel tentato omicidio di Urzini Graziano, avvenuto a Napoli il 12 febbraio 2014, quando è stato attinto da più colpi di pistola alle gambe, da inquadrare nell’ambito della gestione delle piazze di spaccio controllate dal clan Contini.
BENI SOTTRATTI AL GRUPPO CAMORRISTICO INVESTIGATO
Nel corso della medesima operazione, la Guardia di Finanza ha eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso sempre dal GIP del Tribunale di Napoli, avente ad oggetto beni immobili e mobili, aziende, rapporti bancari e quote societarie per un valore complessivo di oltre 130 milioni di euro, riconducibili direttamente e/o indirettamente ai soggetti destinatari delle misure cautelari fra cui spiccano, in particolare, gli esponenti apicali del clan.
L’ingente complesso patrimoniale è stato individuato a seguito di articolate indagini economico-finanziarie svolte dal GICO del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli in collabora-zione e con il supporto tecnico-operativo del Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) di Roma, nei confronti dei soggetti indagati e dei rispettivi nuclei familiari.
Le suddette investigazioni, eseguite su un totale di 825 persone fisiche e 99 persone giuridiche, hanno consentito di ricostruire le attività economiche e gli investimenti patrimoniali attraverso cui le diverse componenti del clan erano riuscite nel tempo a reimpiegare gli ingenti guadagni derivanti dalle attività criminali, così sostenendo e alimentando le esigenze finanziarie, imprenditoriali e logistiche dell’associazione.
In particolare, l’entità, la tipologia e la capillare distribuzione sul territorio dei beni sottoposti a sequestro conferma ancora una volta l’elevata capacità del sodalizio di occultare e trasformare la ricchezza illecita prodotta, secondo una precisa strategia di espansione economica basata sulla diversificazione degli investimenti, sull’occupazione di vasti settori commerciali e sull’utilizzo delle attività economiche per finalità di riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti.
Il provvedimento di sequestro, infatti, oltre a comprendere 152 unità immobiliari, 255.000 mq. di terreni, 194 beni mobili registrati (di cui 101 autoveicoli, 92 motoveicoli e 1 natante), 67 rapporti finanziari, oro, preziosi, diamanti e orologi di lusso per circa 3.000.000 €, colpisce ben 47 aziende individuali e 52 quote societarie relative a 42 società, distribuite non
solo in Campania ma anche in altre regioni, operanti in vari settori economici fra cui, principalmente, quelli del commercio all’ingrosso ed al dettaglio di generi alimentari, abbigliamento e
calzature, della ristorazione, dell’edilizia, della rivendita di generi di monopoli,
del commercio di oro e preziosi e della distribuzione stradale di carburanti.
Tabella riepilogativa delle posizioni degli indagati
213 posizioni vagliate dal GIP | 159 ricorrono gravi indizi di colpevolezza | 87 ricorrono gravi indizi associazio ne mafiosa (Alleanza e clan Contini) | 83 appartenenti associazione mafiosa (7 Alleanza3 e 79 clan Contini) | 82 custodie in carcere | 89 custodie in carcere | |
1 arresti domiciliari | ||||||
4 concorrenti esterni associazione mafiosa (4 clan Contini) | 2 custodie in carcere | |||||
1 arresti domiciliari | 36 arresti domiciliari | |||||
1 divieto di dimora | ||||||
72 ricorrono gravi indizi per reati fine | 33 no esigenze cautelari | // | ||||
17 privi pregiudizi penali | 16 contestazioni datate nel tempo | 1 divieto di dimora Regione Campania | ||||
39 ricorrono esigenze cautelari | 5 custodie in carcere | |||||
34 arrestati domiciliari | ||||||
Napoli, 26 giugno 2019
3 Per Mallardo Francesco, Aieta Anna e Aieta Rita ricorre la doppia contestazione associativa (Alleanza e clan Contini).