Duplice Omicidio – Trieste Responsabilità  Stato?

Quanto avvenuto a Trieste, crediamo sia colpa di uno Stato “ottuso” che con tale agire è complice di certe situazioni pericolose, per un buonismo che è esclusivamente business per una parte dell’èlite, mentre il sistema di sicurezza è abbandonato, nello specifico gli operatori, i quali chiedono un inversione di tendenza non più rinviabile.  
A questa premessa non dobbiamo dimenticare il potenziale difetto delle nuove fondine in dotazione a causa della rottura del dispositivo di sicurezza (cedimento), come denunciato da alcune organizzazioni sindacali, fatto questo se verrà  confermato rende ancor più grave l’accaduto che ha avuto uno dei peggiori epiloghi, seppur lo stesso sarà  solo un aggravante al casus belli.  Vediamo com’ਠ avvenuto l’omicidio in servizio dell’€™Agente Scelto DEMENEGO Matteo e dell’€™Agente Pierluigi Rotta entrambi in forza all’€™U.P.G. e S.P. della Questura di Trieste.Nella mattinata del 04 us, in via Carducci, veniva consumata una rapina in danno di una donna, la quale denunciava che un ragazzo di colore le aveva rubato il motorino scaraventandola in terra.Nel pomeriggio dello stesso giorno, giungeva una chiamata alla Sala Operativa in occasione della quale il cittadino dominicano STEPHAN MERAN Carlysle riferiva di avere appreso dal fratello STEPHAN MERAN Alejandro Augusto che questi era l’€™autore della menzionata rapina; pertanto si rendeva disponibile ad accompagnare gli operatori presso il domicilio del fratello al fine di recuperare il mezzo. Nel frangente specificava che il congiunto soffriva di disturbi psichici, pur non essendo allo stato seguito dai servizi di igiene mentale di questo capoluogo.Sulla scorta di quanto sopra, due equipaggi in servizio di Volante ed una pattuglia della Squadra Mobile si recavano presso l’€™abitazione dello STEPHAN MERAN Alejandro Augusto, unitamente a personale del 118 preventivamente allertato. Sul posto si verificava la presenza del ricercato, il quale appariva collaborativo e pacato. Pertanto, veniva accompagnato in Questura, unitamente al fratello, a bordo di una vettura in colori di istituto.Giunti all’€™interno dell’€™Ufficio Prevenzione Generale, lo STEPHAN MERAN Alejandro Augusto, dopo aver chiesto di andare in bagno, nell’€™uscire riusciva a prendere la pistola d’€™ordinanza in dotazione all’€™Agente ROTTA esplodendo due colpi al lato sinistro del petto e all’€™addome; uditi gli spari, l’€™Agente Scelto DEMENEGO Matteo usciva per verificare cosa stesse accadendo, venendo a sua volta attinto sotto la clavicola sinistra, al fianco sinistro e alla schiena.Durante tali concitate fasi, il fratello STEPHAN MERAN Carlysle, in un primo momento, si barricava all’€™interno dell’€™ufficio dell’€™U.P.G.S.P. impaurito, sotto shock e temendo per la propria incolumità , sbarrando la porta con una scrivania; poi, non udendo più gli spari, scappava nei sotterranei della Questura, dove veniva individuato e bloccato dagli agenti intervenuti.Nel mentre l’€™omicida tentava di imboccare le scale di accesso ai piani superiori, ma veniva fatto desistere dal personale presente negli uffici, a cui indirizzava altri colpi senza causare feriti; successivamente, cercava di guadagnare l’€™uscita dalla Questura attraversando l’€™atrio adiacente impugnando entrambe le pistole d’€™ordinanza prima asportate ai predetti operatori, esplodendo ulteriori colpi di pistola all’€™indirizzo del personale in servizio al corpo di guardia che rispondeva al fuoco; in tale frangente veniva colpito alla mano sinistra un Assistente Capo in servizio alla P.A.S., il quale è attualmente ricoverato presso il locale nosocomio in attesa che venga sottoposto ad intervento chirurgico.Una volta fuori dall’€™edificio, il fuggitivo, cercava prima di aprire una volante parcheggiata in prossimità  dell’€™ingresso di via di Tor Bandena, e poi notando l’€™auto della Squadra Mobile, apriva il fuoco verso il mezzo e all’€™indirizzo del personale, attingendo la portiera lato passeggero appena aperta. Gli operatori rispondevano al fuoco, attingendo il soggetto all’€™inguine, senza colpire parti vitali, riuscendo a renderlo inoffensivo ed a disarmarlo, verificando che una delle pistole poco prima sottratte era aperta e col serbatoio vuoto, mentre l’€™altra aveva il cane armato.Nel frattempo sanitari del 118 intervenuti tentavano invano di rianimare gli agenti colpiti e prestavano soccorso al ferito, il quale veniva trasportato presso l’€™ospedale di Cattinara, in attesa di essere sottoposto ad intervento chirurgico.Ai fini di una ricostruzione più dettagliata e chiarificatrice si attendono gli esiti degli accertamenti tecnici della Polizia scientifica di Padova prontamente intervenuta.In serata il magistrato di turno ed il Procuratore dopo che il primo in Questura aveva sentito il fratello del pluriomicida, si sono recati in ospedale per interrogare l’€™indagato che allo stato si è avvalso della facoltà  di non rispondere. Indi i magistrati lo hanno dichiarato alle ore 23.00 in stato di fermo.  Per i fatti si resta in attesa delle determinazioni del GIP in ordine alla convalida del fermo e alla richiesta di custodia cautelare in via di redazione.
Ora ci soffermiamo sulla circolare del Ministero della giustizia n. 558 dell’8/4/1993, la quale prevede che:
“Nel caso di eventuale uso ingiustificato delle manette, ricorrono gli estremi del reato di abuso di autorità  contro arrestati previsto e punito dall’art. 608 (abuso di autorità  contro arrestati o detenuti) del codice penale italiano.Ipotesi più ricorrenti dell’utilizzo sono, ai sensi della legge italiana, quando un soggetto tenti di sottrarsi all’arresto, o cerchi di colpire o comunque di usare violenza contro un pubblico ufficiale, oppure quando la situazione non consenta all’agente di pubblica sicurezza di decidere in breve tempo se usare o no le stesse.”
Come prevedibile, si scatenerà  una battaglia legale che vedrà  periti di parte analizzare materiali e funzionalità  delle fondine, in un procedimento che si perderà  nella “notte dei tempi”.  Seppur non abbiamo tutti gli elementi per esprimerci nè sulla dinamica dei fatti specifici nè sull’efficienza delle fondine in dotazione agli operatori tragicamente uccisi, continuiamo ad insistere sul fatto che se questo dramma ha un senso è quello di evidenziare quanto sia da rivedere e risolvere la problematica della gestione dei soggetti fermati, non arrestati.  Negli Stati Uniti l’utilizzo delle manette è obbligatorio in tutti i casi in cui una persona è dichiarata in arresto, e quindi esse vengono utilizzate sempre e comunque quando una persona venga fermata o arrestata dalla forze dell’ordine.Ancora una volta è necessario rilevare che non vi sono in Italia protocolli operativi rigidi ai quali gli operatori delle FFOO devono fare riferimento, in particolare volti a garantire la sicurezza degli operatori nell’esercizio delle loro funzioni ( sicurezza sui luogo di lavoro); il tutto ਒€™ lasciato ad libitum laddove invece, come sempre accade nella realtà ‘€™, ci si trova difronte alla più assoluta imprevedibilità , i quali effetti negativi se non mitigati da procedure ad hoc, si riversano sugli operatori e sulla sicurezza pubblica.  Chi può decidere e sapere a priori se un determinato soggetto se ne starà  lì buono in attesa che la polizia termini il suo lavoro?  
-Nessuno può saperlo, di qui la prevenzione-  
La prevenzione, la sicurezza in toto intesa come stile di vita professionale e personale in Italia ਒€™ un concetto denso di ambiguità  e di ipocrisia tipico di questo Paese.L’€™ambiguità  è una delle prerogative dell’€™ipocrita il quale potrà  sempre all’€™ultimo assurgere al ruolo di Ponzio Pilato perchè nessuno vuol prendersi responsabilità  in senso stretto, così come nessuno di questi complici morali della morte di altri due giovani poliziotti avra’€™ mai il coraggio e la dignità  di dire basta.  L’€™ambiguita’€™ non c’€™entra nulla con il garantismo anzi è foriera di insicurezza,impreparazione ed improvvisazione.Quindi,  Il fatto che questi soggetti non possano attendere l’esito degli accertamenti di Polizia all’interno delle camere di sicurezza, poichè la legge non consente di restringere chi ancora non è in stato di fermo o arresto, crea situazioni pericolose e di difficile gestione della sicurezza.  Chi deve procedere agli accertamenti, alla redazione degli atti, a tutti i lunghi rituali previsti dalla Legge, spesso è lo stesso personale che deve materialmente “guardare” il fermato, che viene fatto attendere negli stessi uffici ove il personale lavora, non di rado vicino all’uscita e comunque in aree ove possono accedere anche utenti venuti a svolgere pratiche burocratiche di vario genere. Non esistono chiusure particolari, non vi sono bagni a uso riservato e costruiti con criteri di specifica sicurezza, tanto che i fermati devono esservi accompagnanti ogni volta sempre dagli stessi operatori di Polizia. I fermati, salvo non vi siano avvisaglie o motivi per temere una loro condotta violenta o pericolosa, non possono essere ammanettati o fascettati e non si può utilizzare alcuna coercizione fisica e neanche la sedia di contenimento quale/i MSG; fosse anche alzare eccessivamente il tono della voce, è sanzionabile.  Ora, chi avesse dubbi in tal senso vada a leggersi la legge sulla tortura approvata dal parlamento italiano, che punisce da 5 a 12 anni il pubblico ufficiale che causa un “trauma psichico” alla persona affidata alla sua custodia. L’esimente della stessa Legge fa riferimento a “legittime misure privative” ma, come dicevamo, il fermato non può essere ristretto in camere di sicurezza o ammanettato, quindi qualsiasi ulteriore contenimento preventivo rischia di diventare un abuso.  Per sviluppare le giuste conclusioni è bene ricordare che nei luoghi di detenzione il personale della Polizia Penitenziaria a contatto con i detenuti non a caso non è armato proprio per evitare che questi, con gesti improvvisi e proditori, si impossessino dell’arma.  Negli uffici di Polizia, essendo questi privi di aree “dedicate” alla gestione dei fermati, questo non è possibile.  Per questo, riteniamo che la disputa sulla qualità  delle fondine nelle quali vi era l’arma sottratta dall’assassino al primo agente, che lo accompagnava ignaro delle sue imprevedibili intenzioni, sia esclusivamente un aggravante e non il fulcro delle responsabilità , quindi riteniamo che si debba affrontare con serietà  il problema, da anni segnalato, della gestione dei fermati e della possibilità  di trattenerli in luoghi non di detenzione ma comunque sicuri, ove non vi sia la necessità  che siano a stretto contatto col personale operante o con altri cittadini.  In estrema sintesi non conta come abbia fatto l’assassino a sottrarre l’arma al poliziotto, conta il fatto che non doveva avere la possibilità  di aggredirlo e prenderla.  
Su questo le istituzioni e il dipartimento di pubblica sicurezza, dovranno lavorare, perchè drammi assurdi come quello che hanno visto la morte di Matteo e Pierluigi non debbano più ripetersi, visto che l’impegno/sport dei vertici istituzionali del Viminale pare sia solo quello di non garantire i diritti di altri cittadini, come il caso del 780, mentre gli operatori di PS sono abbandonati al loro destino, come gli operatori della sicurezza “privata” IPS, quando questi attori tutti dovrebbero concorrere alla sicurezza nazionale secondo competenze, in modo lungimirante e propedeutico.  
EP  Redazione VaresePress@ Roma  Rubrica Sicurezza Nazionale@

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