Tra Padova e Somma Lombardo, la storia vera di un viaggio di altri tempi

Stasera vi racconto una storia che parla di una donna comune, una storia dolce e amara di altri tempi, tempi lontani ma non lontanissimi, tempi in cui un pezzo di pane era qualcosa di prezioso. E’€™ una storia delle nostre terre fatta di fatiche e lavoro, una storia silenziosa ma vera’€¦
Tutto ebbe inizio negli anni ‘€œ40 nel Veneto, quando il lavoro era ancora rurale e la buona gente si accontentava di poco, le famiglie erano numerose e per la tavola piena si ringraziava il cielo.
La nostra protagonista era una bambina allora. Prima della guerra tutto sembrava filare liscio’€¦ il paese non offriva molti divertimenti ma la piccola poteva dirsi tranquilla. I campi erano una scuola di vita, si giocava tra l’€™erba alta e il granoturco. Abiti che si passavano da una sorella all’€™altra, ritoccati dalla mamma che li adattava di volta in volta. Il papà  lavorava allo zuccherificio, così non mancava nulla. Niente lussi o sprechi ma almeno c’€™era il pane in tavola tutti i giorni. E ce ne voleva per una famiglia di 9 persone. Poi fu la guerra. E il paese di Ponso fu colpito in modo duro in quegli anni. La bambina, come ogni bambina di questa terra, da che mondo e mondo, amava gli animali di casa e non c’€™era nulla di più tenero, amico migliore del proprio cane. Un cane prelevato dai militari che avevano minato il paese, che era stato messo di fronte ad animali di grossa taglia, fatto agitare con dispetti e movimenti fino a farlo guaire e abbaiare. Ed ecco gli animali correre, agitarsi ed esplodere fra quelle mine. Case, negozi e scuola rasi al suolo, in parte crollati. Ci possiamo immaginare le lacrime’€¦ una bambina di sette anni che cerca il suo cane, che piange tirando la veste della mamma. Ma fermi, bisognava star fermi, la paura era tanta. E tra quelle macerie bisognava ringraziare che almeno la casa si era salvata. Finito il lavoro in fabbrica del papà , le risorse erano poche e quando arrivavano i militari era necessario dar loro da mangiare. Quante volte entravano nelle case e alla frase di ‘€œmamma pappa’€ si rimaneva a digiuno’€¦ e il freddo inverno non aiutava proprio. In quelle zone di pianura dove la foschia calava presto e il gelo si faceva sentire ci si riparava, la notte, tra lenzuola cucite e imbottite di foglie di granoturco. Quando ci si girava il grano scricchiolava e teneva svegli.
Ogni giorno la mamma si pettinava e teneva da parte i capelli che cadevano, poi passava lo straccivendolo li ritirava per 5 lire così si ricavavano i soldi per l’€™aringa sotto sale, che dava un po’ di sapore alla polenta. Un aringa per 9 persone. Il natale era festa, all’€™Epifania si riceveva la bambolina o il cavallino dolce. Lo preparava la mamma la notte’€¦ e qualche frutto.
La scuola non esisteva più, le lezioni si tenevano al castello. Ma c’€™erano i bulla, ragazzi che arrabbiati dalla guerra, dalla vita che dava solo immagini dolorose facevano dispetti, scherzi e altro. Mancava il necessario. Così per imparare la nostra ragazzina andò a scuola di maglia. Un’€™ambiente tranquillo, dove si riusciva a mangiare qualcosa in cambio di qualche lavoretto. E al pomeriggio dalla nonna. Una donna che sembrava senza età , che viveva di pollame e capre. La sera faceva bollire l’€™acqua, vi aggiungeva un grano si sale, un goccio d’€™olio’€¦ che si apriva sul piatto e sembrava una quantità  enorme’€¦ ‘€œvarda seto quanto’€¦ varda’€ diceva. E poi la zuppa si completava con il pan biscotto. Che buono’€¦ friabile che si scioglieva in bocca. Si andava al forno quando si poteva e se ne prendeva un sacco che si faceva durare. Nell’€™acqua si gonfiava e tutto pareva tanto. Al mezzogiorno c’€™era l’€™uovo di tacchina che quando si mangiava faceva uscire le macchie, ma bisognava accontentarsi. Il camino era caldo e la nonna scaldava le bronse, i carboni ardenti, messi in un contenitore che metteva sotto le coperte. Che calduccio, che bello.
Nel paese c’€™erano tante ragazze, le più fortunate avevano il negozio, qualcuna nel tempo ha fatto fortuna, come l’€™attrice Brunella Bovo, famosa per aver lavorato a fianco di Alberto Sordi ne ‘€œLo sceicco bianco’€ e In ‘€œMiracolo a Milano’€ le altre dovevano partire per i lavori negli orti o nelle risaie.
A Varano Borghi un lavoro come domestica, poi in giro per la Lombardia’€¦ lavori pesanti, dover dormire in uno scantinato, sopra la grata sulla strada, polvere e rumori e niente stipendio per non essere stata d’€™accordo con tale trattamento. Così fu la risaia. Camerate come dai militari, ragazze di ogni luogo e paese, con dialetti e usanze diverse. Chine nell’€™acqua per 12 ore e camminare all’€™indietro per trapiantare e pulire. Il mal di risaia prende le gambe, non mancano i topi e gli insetti e la sera bisognava lavarsi lungo i corsi d’€™acqua freddi. Ma i soldi a casa servivano. E poi agli orti milanesi’€¦
E la storia non finisce qui, questo è solo un pensiero ridotto della vita di allora. Una vita che ha segnato le ossa, una fatica dura e continua. Una vita vera che mi è stata raccontata da una donna che ormai è una sommese di adozione e che ha lavorato fino a che ha potuto. Una vita di sacrifici per costruire una famiglia, senza mai aver vergogna delle umili origini, senza mai arrendersi. Lei me la ha raccontata e io la racconto a voi. Quante donne hanno vissuto così in quegli anni, quanta fatica per costruire la propria casa e il paese. Una figura silenziosa come tante ma di cui vado fiera’€¦
Cesarina Briante (c)
Nella fotografia ; il lago a Varano Borghi

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