LA CULTURA ADDOLCISCE QUESTI DURI TEMPI ARIDI

LA CULTURA ADDOLCISCE QUESTI DURI TEMPI ARIDI

JACOPONE DA TODI «O Signor, per cortesia »(Laude, 81)

Nella perfetta convinzione che lo studio della letteratura italiana sia un momento di astrazione dalla bieca realtà  del quotidiano, vi porgo questa laude del grande jacopone da todi,si quello che oggi avrebbe scritto (le ultime mail di jacopone da todi) , si ridiamoci su, ma non tanto.

La laude , non inveisce contro nessuno, all’€™infuori di se stesso, arriva, l’€™autore, a augurarsi, piu o meno scherzosamente (ma non tanto) i piu grossi malanni e sofferenze in nome di Dio, e del possibile paradiso. Ebbene riflettiamo e per un attimo dimentichiamo la fredda , arida, attualità .

Ricordo a me stesso, che bisognerà , contestualizzando il tempo in cui jacopone visse, attendere l’Umanesimo perchè il corpo dell’uomo sia pienamente rivalutato come “macchina meravigliosa”, creata a immagine e somiglianza di Dio

O SIGNOR, PER CORTESIA,

MANNAME LA MALSANàŒA!

A mme la freve quartana,

la contina e la terzana,

la doppla cotidà¯ana

co la granne ydropesia.

A mme venga mal de dente,

mal de capo e mal de ventre;

a lo stomaco dolur’€™ pognenti

e ‘€™n canna la squinanzia.

Mal dell’€™occhi e doglia de flanco

e la postema al canto manco;

tiseco me ionga enn alto

e d’€™onne tempo fernosìa.

Aia ‘€™l fecato rescaldato,

la melza grossa e ‘€™l ventr’€™enflato

e llo polmone sia ‘€™mplagato

cun gran tòssa e parlasia.

A mme venga le fistelle

con migliaia de carvuncilli,

e li granci se sian quelli

che tutto replen ne sia.

A mme venga la podraga

(mal de cà³glia sì me agrava),

la bisinteria sia plaga

e le morroite a mme sse dìa.

A mme venga ‘€™l mal de l’€™asmo,

iongasecce quel del pasmo;

como a can me venga el rasmo,

entro ‘€™n vocca la grancia.

A mme lo morbo caduco

de cadere enn acqua e ‘€™n foco

e ià  mai non trovi loco,

che eo afflitto non ce sia.

A mme venga cechetate,

mutezza e sordetate,

la miseria e povertate

e d’€™onne tempo entrapparìa.

Tanto sia ‘€™l fetor fetente

che non sia null’€™om vivente,

che non fuga da me dolente,

posto en tanta enfermaria.

En terrebele fossato,

che Riguerci è nomenato,

loco sia abandonato

da onne bona compagnia.

Gelo, grando e tempestate,

fulgure, troni e oscuritate;

e non sia nulla aversitate,

che me non aia en sua bailìa.

Le demonia enfernali

sì mme sian dati a menestrali,

che m’€™essà¨rcino en li mali,

ch’€™e’€™ ho guadagnati a mea follia.

Enfin del mondo a la finita

sì mme duri questa vita

e poi, a la scivirita,

dura morte me sse dìa.

Allegom’€™en sseppultura

un ventr’€™i lupo en voratura

e l’€™arliquie en cacatura

en espineta e rogarìa.

Li miracul’€™ po’€™ la morte,

chi cce vene aia le scorte

e le deversazioni forte

con terrebel fantasia.

Onn’€™om che m’€™ode mentovare

sì sse deia stupefare

e co la croce sè segnare,

che reo escuntro no i sia en via.

Signor meo, non n’€™è vendetta

tutta la pena ch’€™e’€™ aio ditta,

chè me creasti en tua diletta

et eo t’€™ho morto a villania.

Autoironia,e cultura vanno di pari passo

By pietro mazzuca

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